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Melma, intrighi e complicità nel regno di omertà di Matteo Messina Denaro. È stato questo il focus del programma di Atlantide andato in onda mercoledì scorso su La7. Andrea Purgatori, mentre nella prima parte del programma ha ricostruito parte della storia dell’ormai ex superlatitante di Cosa nostra arrestato lo scorso 16 gennaio dal Ros a Palermo, nella seconda metà della trasmissione ha ricostruito il “regno dell’omertà” che da sempre orbita attorno al boss. Per fare ciò ha ricostruito la storia di tre uomini uccisi da Cosa nostra i cui delitti, per certi aspetti, sono legati fra loro: Mauro Rostagno, Giangiacomo Ciaccio Montalto e Peppino Impastato. Storie di indagini che hanno toccato i nervi scoperti della mafia e del sistema criminale del tempo, come ad esempio la droga, Gladio, la massoneria. Storie di uomini uccisi due volte: la prima con il delitto, la seconda con i depistaggi. Ne è un esempio la storia di Mauro Rostagno, ucciso il 26 settembre 1988 da Vincenzo Virga per conto – stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori – di Francesco Messina Denaro (padre Matteo) il quale “disse di aver dato incarico a Vincenzo Virga di eseguire l’omicidio”.


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Una figura davvero unica, estremamente poliedrica, ricca di valori, di capacità visionaria e di progettare il futuro in tutte le attività in cui ebbe modo di impegnarsi”, come ha detto il Procuratore capo di Reggio Emilia Gaetano Paci presente in studio. Sociologo ma anche giornalista che, dopo percorsi militanti e politici (è stato uno dei fondatori di “Lotta Continua”), dal nord è approdato in Sicilia, a Trapani, dove fondò una comunità terapeutica per tossicodipendenti chiamata “Saman”. Rostagno era anche un giornalista televisivo che lavorava per una piccola emittente locale con cui seguiva inchieste e processi di mafia mostrando il vero volto di Cosa nostra alle persone. “Iniziando questo percorso a Trapani scopre che lì la mafia costituiva il punto di riferimento fondamentale, per cui partendo dalla tossicodipendenza, quindi dal dramma di tanti ragazzi degli anni ’80, egli finisce per imbattersi nei poteri forti dell’epoca”, ha aggiunto Paci. Come ha evidenziato Purgatori su Atlantide, la storia giudiziaria sin qui scritta ha appurato che la mafia trapanese si apprestava ad offrire servizi per diversi committenti in cambio di droga o altri favori.


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Da sinistra: il procuratore capo di Reggio Emilia, Gaetano Paci e la figlia di Ciaccio Montalto, Marene


L’aspetto più inquietate era che in questo tipo di traffici erano coinvolti alcuni apparati dello Stato ed esponenti qualificati dei servizi segreti. Accordi indicibili che Mauro Rostagno aveva scoperto e che con ogni probabilità gli sono costati la vita”, ha aggiunto Purgatori. Nel regno dei Messina Denaro si interseca un’altra storia, quella del magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso il 25 gennaio 1983 da tre killer (armati di mitragliette e pistole calibro 38) quando, senza alcuna protezione, stava rientrando da solo a casa. Il delitto si consumò a Valderice che al tempo era un feudo molto importante per la geografia criminale di Cosa nostra. Montalto, come Rostagno, venne ucciso perché osò indagare sugli intrighi di potere alti che aveva con il mondo esterno alla consorteria criminale. Il magistrato, inoltre, capì che per indagare sulla mafia occorreva ricostruire il flusso di denaro derivante dalle attività illegali, in particolare dal narcotraffico. “Nessuno di noi in famiglia si accorse del pericolo nei confronti di papà – ha detto in collegamento Marene Ciaccio Montalto, una delle figlie del magistrato -. Lui decise di trasferirsi in questa casa di campagna alle pendici di Erice proprio per tenerci lontano da questo rischio”. “Quando si oltrepassa la cerchia ristretta della mafia militare che si occupa di estorsioni, danneggiamenti e omicidi e si punta ad analizzare, mettere sotto la lente di ingrandimento, le connessioni con i sistemi di potere criminale, a quel punto il gioco diventa impossibile da proseguire e si perde la vita”, ha detto Paci in riferimento a Montalto e Rostagno.


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Il fratello di Peppino Impastato, Giovanni


Matteo Messina Denaro non ha ucciso mio padre, ma ci sono ipotesi che ritengono il boss tra i soggetti componenti del commando che ha realizzato l’agguato - ha continuato Marene -. Solo lui può chiarire il ruolo che ebbe nell’omicidio di mio padre. Ma non mi aspetto nulla da parte di Messina Denaro. Non mi aspetto di certo che lui collabori, d’altra parte neanche Riina ha mai collaborato, fa parte del loro codice”.
Infine, Purgatori ha ricostruito la storia di Peppino Impastato, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi. Un percorso di vita e di lotta contro la mafia e contro l’arroganza del potere per certi aspetti uguale a quello di Mauro Rostagno.
Uno con la radio, l’altro con la televisione, erano due “mine vaganti” che Cosa nostra non tollerava. E per questo vennero uccisi. Anche in questa terribile vicenda, come per le precedenti, appena consumato il delitto sono iniziati i depistaggi.


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Il compagno di Peppino Impastato, Salvo Vitale


Fu grazie al lavoro dei compagni di Peppino, i quali realizzarono una controinchiesta, che venne smentita la prima versione ufficiale data dai carabinieri secondo cui l’attivista e militante, il rivoluzionario Impastato, si suicidò sulla ferrovia con il tritolo. I compagni di Peppino, infatti, andarono sul posto e ritrovarono il casolare con le macchie di sangue dell’amico. “Peppino fu ucciso dentro quel casolare e poi messo a corpo morto sui binari e fatto saltare in aria. Però, per arrivare alla sentenza ‘omicidio ad opera di ignoti’ ci sono voluti 9 mesi, un vero e proprio parto. Un lasso di tempo in cui i depistaggi sono stati tantissimi”, ha ricordato l’amico e compagno Salvo Vitale. Insomma, tre storie accomunate dal fatto che Rostagno, Montalto e Impastato hanno osato scoperchiare il “vaso di Pandora” dentro il quale si celavano i rapporti di potere che la mafia aveva con il sistema criminale del tempo.

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