Simona Zecchi: "L’omicidio di Pasolini è un caso ancora aperto, coinvolti servizi segreti e Banda della Magliana"
Molto si può raccontare della vita di Pier Paolo Pasolini grazie ad una straordinaria eredità fatta di film e bellissime parole; poco, invece, sulla sua morte avvenuta all’Idroscalo di Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975. Proprio di questo si è discusso durante la Conferenza che si è tenuta all’interno della Sala Stampa della Camera dei Deputati con l’onorevole Stefania Ascari insieme alla giornalista e scrittrice Simona Zecchi, autrice del libro “L'inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini”, da cui prende il nome la stessa Conferenza Stampa.
Dalle parole rilasciate in sede di audizione dal pentito Maurizio Abbatino che ha ammesso di aver partecipato al furto della pellicola di Pasolini insieme ad altri soggetti legati alla criminalità romana, fino al coinvolgimento di Franco Conte, gestore di una “bisca clandestina” in zona Magliana che, secondo Abbatino, avrebbe commissionato il furto della pellicola di Salò, gli elementi trattati durante la Conferenza stampa “L'inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini”, hanno evidenziato tutte le lacune relative alle indagini sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini.
“La passata commissione antimafia si è impegnata tantissimo - ha sottolineato Simona Zecchi -. Sono contenta che io abbia potuto aiutare la commissione in sede di audizione su fatti e persone che possono dare ancora una testimonianza sul caso Pasolini. Sono contenta che a sostegno delle parole di Abbadino ci siano state le parole di un ex agente dei servizi che si è occupato della criminalità degli anni ‘70 e ‘80 a Roma, tra cui la Banda della Magliana, coinvolta nel caso alla vigilia della sua costituzione.” - prosegue - “L’omicidio Pasolini non è un delitto avvenuto perché ‘sfuggito di mano’ dagli aggressori, bisogna capire che qualcuno ha commissionato il pestaggio e qualcun altro il furto delle bobine; si tratta di un passaggio molto importante sul caso Pasolini”.
La giornalista Simona Zecchi
Dalle 'pizze' alla 'Ndrangheta
Secondo alcuni, dietro il delitto Pasolini, potrebbero nascondersi verità scomode che il poeta e regista avrebbe scoperto. Del delitto si era autoaccusato Pino Pelosi, salvo ritrattare tutto nel 2005, quando ha raccontato che si era dovuto attribuire tutte le responsabilità dell'omicidio per non subire ritorsioni.
Ad avvalorare l’ipotesi di un omicidio con movente tutt’altro che passionale, la presenza di personaggi che poco hanno a che fare con un delitto di natura sentimentale tra omosessuali.
Tra questi personaggi - ha sottolineato Simona Zecchi -, la presenza di Nicola Longo, ex poliziotto ed ex agente segreto che, dopo aver ricevuto le bobine da un boss locale, fa ritrovare le stesse all’interno del laboratorio di Cinecittà dove erano state sottratte. “Credo sia quantomeno anomalo che venga chiesto ad un poliziotto che si occupa di narcotraffico e criminalità, di recuperare delle bobine - ha ribadito Zecchi -, a meno che non venga chiesto da ambienti ‘specifici’”.
Il mistero che avvolge l’omicidio Pasolini s’infittisce non solo per la partecipazione di Maurizio Abbatino, come dicevamo, futuro boss della Banda della Magliana e di Franco Conte, proprietario della “bisca” in zona Magliana frequentata dallo stesso Pasolini ma, anche per la presenza di ulteriori ambienti criminali come la ‘Ndrangheta, oggi, protagonista indiscussa delle attività criminali perpetrate sul territorio laziale.
“Dino Pedriali (fotografo e collaboratore di Pasolini morto l’11 novembre del 2021, ndr), mi ha riferito di essere stato usato dalla ‘Ndrangheta - ha spiegato Simona Zecchi -. Nel tentativo di depistare le indagini sull’omicidio Pasolini, la sua auto (simile a quella di Pasolini, ndr) viene rubata poco prima dell’omicidio e, subito dopo, viene ritrovata a Catanzaro. Il padre di Pedriali (agente dei servizi segreti del SID, ndr) ha fatto sì che l’auto di suo figlio venisse ritrovata senza risalire al coinvolgimento della ‘Ndrangheta nell’omicidio Pasolini”.
L’onorevole Stefania Ascari
Le lettere di Ventura e l’estrema destra
Giovanni Ventura, editore e membro di Ordine Nuovo coinvolto negli attentati terroristici del ‘69, aveva contattato Pier Paolo Pasolini nel marzo del 1975 - ha ricordato Simona Zecchi -, nel tentativo, ben congeniato, di attirare l’attenzione di Pasolini sulle verità nascoste relative alle stragi e al coinvolgimento di una determinata compagine politica nella strategia della tensione. Nel periodo che intercorre da marzo ad ottobre del ‘75, le lettere di Ventura procedono in tandem con gli articoli di Pasolini-giornalista sul “Corriere della Sera”, tutti incentrati su DC, mafia, CIA, Vaticano e sequestri di persona.
La comunicazione epistolare tra Pasolini e Ventura sarà intercettata nel carcere in cui l’ordinovista era rinchiuso sia dai servizi segreti di quel tempo, sia dal nucleo antiterrorismo di Bari. Della corrispondenza, pochi giorni dopo l’omicidio di Pasolini, verrà a conoscenza anche la magistratura di Catanzaro che in quel momento si stava occupando del processo sulla strage di Milano, senza coinvolgere la procura di Roma, impegnata sull’omicidio consumato all’Idroscalo. Indagini parallele tra Catanzaro, Milano e Roma che, nonostante il comune denominatore, non riusciranno mai a relazionarsi nel tentativo di scoprire tutta la verità sul massacro di Pier Paolo Pasolini.
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