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Il popolare attore Luigi Lo Cascio è intervenuto stamane ai microfoni di Rai Radio2, nel corso del format "I Lunatici". Un appuntamento in cui si è raccontato per quello che è stato il suo percorso di vita, vissuto da giovane a Palermo e poi nel mondo dell'Arte. "Ero un bambino molto vivace fino alla quinta elementare. A Palermo mi chiamavano Gigi la Peste. All'università, ho fatto due anni di medicina, una mia collega mi riconobbe dal soprannome. Ero un bambino che ne combinava uno dopo l'altra. Poi in quinta elementare ho messo gli occhiali, non crescevo, rimanevo bassino, mi sono iniziato a complessare e alle medie sono stato tranquillo. Poi ho ripreso la mia strada. Ho cominciato a fare l'attore perché avevamo un gruppo di teatro di strada, a Palermo suonavamo ai semafori, questa componente giocosa e goliardica l'ho ripresa quando sono diventato più grande. Come hanno preso a casa quando ho lasciato l'università per fare l'attore? Sono riuscito a fare in modo che per loro non fosse un lutto. Avevo preso 60 alla maturità, avevo praticamente tutti 30 nei due anni di medicina. Ero serio nei miei studi, mio padre era chimico, mia madre è figlia di medico. Sarebbe piaciuto in famiglia se fossi diventato un medico. Hanno visto che ho fatto le cose quando ero già grande e che le ho fatte seriamente. Ho provato ad entrare all'Accademia di Arte Drammatica e mi hanno preso. Questo fatto li ha rassicurati, hanno capito che le mie non erano le velleità di un ragazzino. Erano altri tempi, fare l'attore veniva visto come una cosa in cui non c'era nessuna certezza per il futuro. Mentre in medicina chi si laureava trovava da lavorare, l'attore era un salto nel vuoto. Adesso invece provare a fare l'attore è uguale a tentare di iscriversi a medicina. La precarietà è universale. Io devo molto ai miei genitori. E anche ai miei fratelli. Noi siamo cinque figli. I sacrifici che fecero per farmi studiare a Roma si sono ripercossi su tutta la famiglia. Anche i miei fratelli hanno dovuto fare sacrifici". Sul film 'I cento passi': "Mentre lo giravamo non ci rendevamo conto. Io e Marco Tullio Giordana siamo amici, la nostra amicizia è cresciuta nel tempo, ogni tanto ne parliamo, prima o poi torneremo anche a Cinisi per rivedere i luoghi. All'epoca il nostro film era sempre liquidato come un film di mafia, il rischio era che fosse l'ennesimo film sulla mafia. E' successo che invece è un film sulla voglia di un giovane di cambiare le cose. Sulla sua capacità di ribellione allegra e vivace, che tenta di contrastare gli altri. Ha avuto successo questo film perché racconta una storia vera sottolineando il lato vitale della questione. Tutti noi abbiamo amato Felicia, la mamma di Peppino. E' stata determinante". 
Infine è intervenuto su 'Il signore delle Formiche', attualmente in sala al Cinema: "Siamo felicissimi di questo film. Una storia vera, la storia di Aldo Braibanti, condannato per plagio solo perché omosessuale. Ogni innamorato è disposto a fare cose che normalmente non farebbe mai. Ogni padre sarebbe pronto a tutto per salvare il proprio figlio. Per fortuna il reato di plagio non c'è più. Quello che rimane è la diffidenza, la violenza, la repressione spesso nei confronti della diversità. Di un amore omosessuale. Finché capiterà che un ragazzo a casa propria uscendo dalla propria stanza dovrà preoccuparsi di incontrare il padre o la madre perché ancora non gli ha detto nulla, e quando glielo dirà non sa come potranno reagire, vuol dire che ci sarà strada da fare".

Foto © Imagoeconomica

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