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Un sodalizio ben congeniato tra le due mafie che, tra politici, imprenditori e massoneria deviata, gestiscono affari in comune

Vari racconti di pentiti hanno ridisegnato la mafia capitale; un ibrido connubio tra ‘Ndrangheta e camorra attraverso una sola visione di intenti, abile sia nel promuovere il riciclaggio che nuove forme di investimenti finanziari.
Il sodalizio, venuto alla luce grazie all’inchiesta pubblicata da Domani, descrive l'alleanza tra le due mafie, come il nuovo organismo malavitoso che nella regione Lazio condivide traffici illeciti di vario genere e ghiotti appalti sullo smaltimento dei rifiuti.
Con un modus operandi decisamente diverso da quello della banda della Magliana degli anni ‘70, oggi, l’alleanza mafiosa tra ‘Ndrangheta e camorra predilige un approccio molto più silenzioso e prudente, preferendo la politica della delega per portare a termine eventuali esecuzioni di personaggi ritenuti “scomodi”.
Questo è il quadro che emerge dai verbali di alcuni pentiti impegnati a descrivere l’operato della mafia campana insieme a quella calabrese.
Due organizzazioni diverse, unite e coadiuvate sia da logge massoniche “deviate” che da utili interferenze nelle campagne elettorali nei vari comuni limitrofi alla capitale.
Una presenza, quella della ‘Ndrangheta al fianco della camorra che, nella regione Lazio, è riuscita a consolidare il proprio ruolo anche grazie a scambi di favore chiesti a senatori da imprenditori in contatto con entrambe le parti criminali; il tutto, senza trascurare il ruolo di vari professionisti nel riciclaggio degli utili accumulati grazie al traffico di sostanze stupefacenti.

Il patto criminale
Come confermato dal collaboratore di giustizia Antonino Belnome, ex boss della ‘Ndrangheta della Brianza, i rapporti tra la mafia calabrese e quella campana sono sempre stati regolamentati da un reciproco accordo di non belligeranza. Sarà per questo motivo che le due compagini criminali sono riuscite ad unirsi per stabilire la propria presenza sul territorio laziale.
Belnome, esponente della cosca Gallace per il territorio di Guardavalle, un piccolo comune in provincia di Catanzaro, negli anni, ha assistito in prima persona all’evoluzione del suo clan. Infatti, la cosca Gallace, oltre a consolidare la propria presenza in diverse zone d’Europa, è riuscita a conquistare molti territori anche in Italia, costruendo le proprie fortezze principali non solo in Lombardia ma anche nella parte centromeridionale del Lazio e, ad essere più precisi, nel comune di Nettuno.
Ovviamente, la presenza della cosca Gallace nel comune romano non passa inosservata, infatti, nell’anno 2005 era stato stabilito lo scioglimento del consiglio comunale di Nettuno per infiltrazione mafiosa. Il provvedimento, però, non riuscì ad arrestare l’espansione della cosca calabrese sul resto del territorio e nel giro di pochi anni, supportati anche dalla camorra attraverso il contributo della famiglia Sanese, riusciranno nell’intento di “conquistare” Roma.
Da qui, il patto criminale delle due compagini che ripongono ai margini la presenza scomoda e chiassosa delle bande locali come i Casamonica, da sempre famosi per l’utilizzo incauto di violenza e folklore, rappresentano una calamita per le attenzioni nocive sulle varie attività criminali del territorio.
Nelle parole del boss ai vertici del clan Alvaro Giuseppe Penna, la chiara contrapposizione con la mentalità dei Casamonica: “Il numero uno è una persona che cammina senza pistola, senza fucile, senza niente… perché era una persona che quando arrivava sistemava le cose, metteva subito pace”.
Con queste parole, invece, arrivano i dubbi e i timori dei Casamonica sulla presenza sempre più incisiva di ‘Ndrangheta e camorra in quel di Roma: “Devono far entrare le organizzazioni forti a Roma, ecco perché ce vonno distrugge a noi”.

Mafia e massoneria deviata: il connubio perfetto
L’alleanza di ‘Ndrangheta e camorra nella capitale, quasi certamente, è stata accompagnata anche da contatti di natura politica e massonica.
Un evento degno di nota, riporta il Domani, riguarda l’incontro avvenuto tra Pasquale Sollo, ex senatore Pd, Aniello Esposito  (indagato successivamente per concorso esterno alla camorra nell’inchiesta sul clan Moccia) e il figlio di un esponente della mafia calabrese che chiedeva un intervento per sottrarre il padre al provvedimento di sorveglianza speciale alla Cassazione.
Durante l’incontro, Sollo spiega che avrebbe interessato della vicenda Francesco Nitto Palma, ex ministro e, oggi, capo di gabinetto della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati.
Oggi,  Sollo dichiara: “Non me lo ricordo proprio ma se ho fatto quel nome è stato solo per togliermelo di torno”.
Altro evento degno di nota è la frequenza con la quale, nei verbali dei collaboratori di giustizia, ricorrono i nomi di consulenti e professionisti di natura massonica disposti a collaborare con soggetti che fanno parte di entrambe le organizzazioni criminali.
Hanno duecento logge in mano”, queste le parole del pentito Simone Canale per spiegare ai pm la levatura e la quantità di contatti che la cosca Alvaro possiede in ambito massonico.
Interessante è anche il racconto del pentito Marcello Fondacaro; un tempo medico e titolare di alcune cliniche private presenti nel Lazio e rappresentate di potenti famiglie calabresi a Roma.
Fondacaro è stato membro della loggia massonica Giustinianea fino agli anni ‘90, pertanto, può vantare diversi contatti con la loggia di Piazza del Gesù di cui faceva parte anche Giulio Andreotti.
Nella sua proficua collaborazione con i magistrati, Marcello Fondacaro, racconta le circostanze che hanno aiutato il suo ritorno in Calabria e della semplicità con la quale ha ricevuto assistenza da parte dei massoni romani attraverso quelli calabresi, descrivendo un sistema complesso ma ben organizzato e molto efficiente e, per questo, non accessibile a soldati di basso rango.

Foto originale © Imagoeconomica

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