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"Io sono Rita - Rita Atria: la settima vittima di via D'Amelio".
Era il 19 luglio quando era venuta a sapere che un auto bomba era esplosa a Palermo e aveva attentato la vita di Paolo Borsellino. Colma di dolore aveva scritto sul suo diario parole strazianti: “Borsellino sei morto per quello in cui credevi, ma io senza di te sono morta".
Una settimana dopo, il 26 luglio a Roma, Rita Atria, la ragazza diciassettenne colpevolmente abbandonata dallo Stato, aveva deciso di togliersi la vita, perché niente al mondo sarebbe più riuscito a colmare il vuoto che la morte di Paolo gli aveva lasciato. È per questo che viene considerata la “Settima vittima” della strage di Via D’Amelio.
Da questa storia è nato un libro - inchiesta, scritto da Giovanna Cucè, Nadia Furnari e Graziella Proto, in cui sono contenuti scritti inediti di Rita. Un opera che, attraverso la raccolta di documenti rivenuti nei tribunali e nelle procure, fa emergere dei lati oscuri che ruotano intorno alla sua morte.
Giovanna Cucè è giornalista professionista e caposervizio alla Cronaca del Tg1. Nadia Furnari è la co-fondatrice dell'Associazione Antimafie Rita Atria, un'attivista e militante dell'antimafia "spettinata". Mentre Graziella Proto, proveniente dalla scuola di Pippo Fava, è un'operatrice dell'informazione impegnata nel giornalismo etico, antimafioso e militante.
"Con questo libro - sottolineano le autrici - desideriamo fornire al lettore alcuni strumenti per capire che cosa è accaduto trent'anni addietro e che cosa non è stato fatto per evitare un epilogo tragico". "Trent'anni dopo pubblichiamo un volume con documenti esclusivi, un intervento inedito della sorella di Rita, Anna Maria, le pagine del suo diario e tanto altro. Un volume che crea nuovi scenari intorno alla drammatica fine di Rita", ha fatto notare il direttore editoriale della Marotta&Cafiero, Rosario Esposito La Rossa.
Il libro sarà presentato l'11 giugno alle 18 al festival del libro di Palermo "Una marina di libri".


io sono rita

La storia da raccontare è colma di coraggio, di amore, ma anche drammatica: Rita era nata a Partanna da una famiglia di stampo mafioso. Era il 18 novembre 1985, quando il padre era stato ucciso per un regolamento di conti, il primo doloroso evento che aveva la sua tragica storia. Il fratello Nicola aveva preso il posto e il ruolo del padre e in seguito aveva perso la vita anche lui appena 6 anni dopo, precisamente il 24 giugno 1991. Il dolore per la perdita dell’amato Nicola era diventato insostenibile per Rita e la ragazza, alla fine, aveva deciso di cercare giustizia e denunciare gli assassini alle autorità, seguendo l’esempio di sua cognata, Piera Aiello. Con i suoi pochissimi anni aveva trovato il coraggio per diventare testimone di giustizia e tutto questo grazie all’incontro con Paolo Borsellino, all’epoca Procuratore di Marsala: “La picciridda” la chiamava il magistrato. Da quel momento, grazie alle testimonianze della ragazza, erano stati arrestati molti personaggi legati alle cosche di Partanna, Sciacca e Marsala. “Fimmina lingua lunga e amica degli sbirri” la chiamavano in città. Nonostante il sostegno della cognata, Rita, viveva la sua scelta di esporsi e di opporsi al sistema mafioso in completa solitudine. “Rita non t’immischiare, non fare fesserie”, le aveva detto all’inizio la madre. La stessa madre che dopo la morte della figlia aveva cercato di rompere la sua lapide con un martello.
"Farò della mia vita anche della spazzatura, ma lo farò perciò che io sola ritengo conveniente", aveva scritto Rita Atria nell’ultima lettera – inedita – alla sorella prima di partire per Roma.
Solo il sorriso del giudice illuminava quei giorni passati in solitudine. Il 19 luglio quel sorriso si era spento. Il vento si era calmato. La solitudine aveva vinto. Sopra una mensola c'era un libro di poesie appoggiato al muro. Sono i versi di Salvatore Quasimodo. "Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera". Dal settimo piano Rita Atria spicca il suo volo con il cuore gonfio di dolore.

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