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Mafia sottovalutata perché meno clamorosa rispetto a ieri

Realizzazione di spazi ad hoc dove i detenuti, compresi quelli in regime di massima sicurezza e nel pieno rispetto della privacy, possono, oltre a poter coltivare il rapporto genitori-figli, appagare anche i propri appetiti sessuali.
I reclusi, senza alcun tipo di controllo audio e video, potranno incontrare la propria moglie, fidanzata o amante, in nuclei abitativi appositamente attrezzati e pensati per garantire il diritto all’affettività e alla sessualità.
Con questi presupposti il DDL in discussione alla Commissione Giustizia del Senato: “Tutela delle relazioni affettive e della genitorialità delle persone ristrette”, forse ispirato alle politiche ben più libertine della vicina Svizzera, intende apportare un nuovo “concept” della reclusione al sistema carcerario italiano.
Oltre ad essere parecchi, sono anche ampiamente conosciuti i problemi che investono i penitenziari nel nostro paese, tuttavia, nonostante le parole del ministro della Giustizia Marta Cartabia che definiva la questione del 114% di sovraffollamento delle carceri come “il primo e più grave tra tutti i problemi”, sembrano essere sempre più lontani i presupposti per un approccio sano ed intelligente alle necessità del sistema penitenziario nel nostro paese. Difatti, le polemiche che accompagnano la costruzione dei moduli abitativi, altrimenti noti come “casette dell’amore”, ovviamente, non sono poche e, oltre ad interessare il delicato aspetto della sicurezza, abbracciano anche quello economico.
“Purtroppo la politica non sta facendo le riforme che servono. Questo governo ha stanziato 28 milioni di euro, nel momento in cui non ci sono soldi, per costruire le case dell’amore”; queste le parole del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri che, ospite del programma Costanzo Show, descrive in modo chiaro e diretto l’incapacità della politica di favorire l’azione di contrasto alla criminalità organizzata. Una circostanza ideale per favorire lo scambio di informazioni da parte dei detenuti con il mondo esterno attraverso l’ausilio di messaggi utili allo svolgimento dell’attività criminale. Una “leggerezza”, tanto per usare un eufemismo, incapace di migliorare le condizioni in cui vivono i detenuti e, soprattutto, le condizioni in cui devono lavorare gli operatori di polizia penitenziaria, spesso vittime di aggressioni.
Oltre a Gratteri, anche Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di Polizia Coisp, sottolinea la pericolosità che si cela negli incontri tra detenuti e familiari. Ospite del convegno “Criminalità organizzata e terrorismo” svolto presso il Palazzo Guglielmo II di Monreale e promosso dal Coisp Sicilia, dichiara: “Rispetto al complesso di norme che negli anni, e in particolare in seguito alle stragi di Capaci e di via d'Amelio, hanno offerto un’eccezionale strumento nella lotta alla mafia, siamo costretti a registrare un'allarmante atteggiamento di smobilitazione. Penso ai 28,6 milioni destinati alle 'Case dell'Amore' nelle carceri italiane, dove si consentirà ai detenuti di alta sicurezza di incontrare la moglie, la fidanzata o l'amante fino a 24 ore al mese” - continua - “Qualcuno si è chiesto quanti ordini verranno impartiti in questo modo e quanti omicidi saranno commissionati?”.
Concludendo il suo intervento, Pianese indica l’operato dei sistemi criminali mafiosi come il frutto di un’inversione di tendenza che cerca di operare in modo meno clamoroso ma, non per questo, meno pericoloso: “Si sta verificando una sottovalutazione dei sistemi criminali mafiosi che hanno cambiato strategia, facendo meno clamore ma, allo stesso tempo, aumentando la loro forza criminale. Con fiumi di denaro, le mafie stanno comprando tutto, mettendo in atto veri e propri meccanismi di sostituzione allo Stato di diritto. Non possiamo accettarlo”.
In ultimo ma non per ultimo, vale sempre la pena ricordare come determinate dichiarazioni siano state intercettate anche grazie all’ausilio di registrazioni audio-video all’interno degli istituti penitenziari. Pensiamo alle affermazioni espresse da Totò Riina mentre parlando con un altro detenuto, riferendosi al consigliere togato Nino Di Matteo, riferisce: “Lo faccio finire peggio del giudice Falcone”.
Affermazioni fondamentali per contestualizzare la necessità di dover incrementare attenzione e sicurezza attorno al pm Nino Di Matteo, da sempre impegnato nella lotta alla mafia.

Foto © Imagoeconomica

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