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"Io resto sempre in po' perplesso, quando nella narrazione più rassicurante dei motivi della strage di Capaci, prevale soltanto l'aspetto della vendetta nei confronti del giudice Falcone, che era stato il cuore pulsante delle attività di indagine che aveva portato al maxi processo. Quello è un aspetto. Ci sono tanti aspetti che sono altrettanto importanti. Forse ancor di più". Così il consigliere togato al Csm Nino Di Matteo nel podcast 'Mattanza' prodotto dal 'Fatto Quotidiano'. "Tra i tanti spunti concreti che meritano un approfondimento ci sono quelli relativi al rinvenimento di alcuni reperti contrassegnati e caratterizzati da un DNA femminile a poca distanza dal cratere di Capaci - ha detto Di Matteo - È una situazione che impone di partire da una considerazione: nella storia di Cosa Nostra, nella storia delle fasi esecutive dei delitti di Cosa Nostra, stragi, omicidi, delitti di sangue in generale, non è mai stata riscontrata una presenza femminile. Le donne poi nel tempo hanno assunto anche dei ruoli importanti nell'organizzazione mafiosa ma sempre di tipo diverso".
E poi ancora: "Tra i primi collaboratori che interrogai c'era Salvatore Cancemi. Che non era un collaboratore di giustizia come tanti altri, era uno che in quel periodo del '92 faceva parte di quella che giornalisticamente viene chiamata 'Cupola'. Cancemi diceva sempre che aveva parlato più volte con Riina, che rassicurava lo stesso Cancemi e gli altri dicendo: 'ho parlato con persone importanti. State tranquilli che questa strage e quelle che seguiranno porteranno dei benefici ora e in futuro a Cosa Nostra".
"Nel 2013 abbiamo intercettato al carcere di Opera delle conversazioni tra Riina e il suo compagno di socialità. Ebbene in una di queste conversazioni Cancemi dopo la strage disse, allo stesso Riina: 'Zio Totuccio ma cosa dobbiamo dire sulla strage e sui motivi della strage e su come l'abbiamo realizzata agli altri nostri amici?'. Quindi che cosa dobbiamo diffondere all'interno di Cosa Nostra sulla strage di Capaci? E Riina gli rispose: 'che cosa vuoi dire? Non dire nulla. Perché se si sapesse la verità sarebbe la fine di Cosa Nostra. L'inizio della fine di Cosa Nostra'". "Che cosa voleva dire Riina? - ha chiesto il magistrato - L'unica cosa che possiamo dire con certezza è che i vertici di Cosa Nostra sapevano che all'interno dell'organizzazione non si poteva dire tutta la verità. Perché evidentemente non era una organizzazione e una decisione ascrivibile esclusivamente a Cosa Nostra".
Altro elemento che necessita di approfondimento è la mancata presenza a Capaci di Pietro Rampulla noto esponente del neofascismo Italiano che, secondo le dichiarazioni importantissime di Nino Calderone, pentito catanese e fratello del capomafia Giuseppe Calderone, aveva imparato a maneggiare gli esplosivi da apparati di sicurezza dello Stato.
"Il fatto che Pietro Rampulla in quel momento cruciale in cui qualsiasi errore poteva determinare il fallimento dell'attentato non si sia presentato per motivi familiari - ha spiegato Roberto Scarpinato - è un'assurdità in contrasto con tutte le regole e con tutti i principi di Cosa Nostra. Uno che avesse proposto una scusa di questo genere sarebbe stato ucciso per violazione delle regole".
A rendere il quadro ancora sinistro sono due lanci di un'agenzia stampa, 'Repubblica', che non ha niente a che vedere con il quotidiano, ed è vicina a un deputato andreottiano, Vittorio Sbardella detto 'Lo squalo'. Il 21 maggio quell'agenzia manda un commento che paragona lo stallo che si è creato in Parlamento alla situazione politica del 1978 quando il leader della DC Aldo Moro era stato rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Il giorno dopo, il 22 maggio, aveva mandato un secondo articolo che ipotizzava ancora un evento tragico: 'i partiti senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno come ai tempi di Moro non potrebbero accettare di auto delegittimarsi'. Una nota sinistra, ma profetica.

Per ascoltare i podcast: ilfattoquotidiano.it

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