Non aveva solo in comune il nome con il magistrato del pool antimafia, ma anche il 1992. L'anno in cui entrambi furono uccisi da cosa nostra, a soli tre mesi di distanza l'uno dall'altro. E' la storia dell'imprenditore Paolo Borsellino (in foto), nato in un’umile famiglia a Lucca Sicula un piccolo paesino in provincia di Agrigento.
Grazie all’esempio dei sui genitori, Giuseppe e Calogera, persone oneste che fecero molti sacrifici per il futuro dei propri figli, Paolo decise di diventare imprenditore di se stesso, aprendo una ditta edile di calcestruzzo. Il padre Giuseppe aiutò il figlio in questo suo grande sogno, anche per dare ai suoi nipoti un futuro dignitoso, vendendo il bar che gestiva da tutta una vita per aiutare economicamente Paolo nella sua azienda. Paolo Borsellino, nonostante i tanti debiti, per far crescere la sua azienda, non si abbatté nemmeno di fronte alle prime proposte di vendere la sua ditta. Col tempo Paolo cominciò a ricevere i primi atti intimidatori da parte di Cosa nostra, che aveva messo gli occhi sull'attività. Il motivo era semplice: Paolo Borsellino, lavorando solo con i privati e non concorrendo alle gare d’appalto, “toglieva” dalle tasche di cosa nostra, delle entrate, spezzando così il circolo degli affari.
E poiché, anche di fronte ad atti intimidatori e varie minacce, Borsellino non piegava la testa, rimanendo fermo nella sua coscienza da imprenditore onesto, andava eliminato.
E' così che si arrivò a quel 21 aprile 1992. Il suo corpo venne trovato all'interno della sua Panda, a centro metri da casa, con i piedi che penzolavano dal finestrino.
“L’hanno ucciso da un’altra parte e poi l’hanno abbandonato lì”, dissero subito i familiari. Paolo Borsellino aveva 31 anni, una moglie e due figli piccoli. La sua vita fu fermata da un colpo di fucile al cuore sparato dalla mafia. Il padre Giuseppe dopo aver assistito alla tragica morte di suo figlio, decise di andare dai Carabinieri di Lucca Sicula, e fare i nomi di mandanti ed esecutori che uccisero suo figlio Paolo. Una sfida a viso aperto a cui Cosa nostra rispose nuovamente con violenta barbarie, uccidendolo il 17 dicembre 1992. E nel tempo la famiglia ancora aspetta una completa verità nel momento in cui per la morte di Giuseppe c’è una sentenza definitiva di condanna per un responsabile, mentre le indagini sulla morte di Paolo vennero archiviate.
Le loro storie coraggiose dovrebbero essere oggi prese ad esempio da tutti quegli imprenditori che, caduti nella trappola delle organizzazioni criminali, non riescono a trovare la forza di denunciare pizzo ed estorsioni.
Una lotta per la libertà che oggi, nel 2022, è più che mai attuale.
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