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Game Over, questo il nome dell’operazione con cui la Squadra Mobile di Lecce, coadiuvata da pattuglie del Reparto Prevenzione Crimine “Puglia Meridionale” di Lecce, “Puglia Centrale di Bari, “Campania” di Napoli e da Unità Cinofile di stanza a Bari e dal Reparto Volo della Polizia di Stato di Bari, dopo una lunga indagine coordinata dalla DDA della Procura della Repubblica di Lecce, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce. Destinatari del provvedimento sono 17 soggetti, indagati a vario titolo per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione e violazione della legge sulle armi.

Genesi delle indagini
Le indagini iniziano nell’estate del 2019 e riguardano il clan Briganti operante sul territorio leccese. Più precisamente, tutto nasce dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Tommaso Montedoro che hanno fatto luce sugli assetti delle organizzazioni malavitose attive in Provincia di Lecce, soprattutto nel capoluogo.
Nel verbale del 5 settembre 2018 Montedoro ha dichiarato: «Posso dire pertanto che ultimamente c’è in atto l’ennesima riorganizzazione che per Lecce vede come capi Briganti Maurizio e Cristian Pepe. Nell’ultimissimo periodo Briganti Maurizio è in difficoltà poiché è stato arrestato il suo principale alleato all’esterno, ovvero Politi Saulle che il Briganti considera il suo vero e proprio braccio destro; penso che i due siano pari grado. Il Briganti era molto preoccupato in occasione del blitz per le sorti di Politi e sperava che non fosse stato arrestato un socio dello stesso Politi che diceva di essere un ex-finanziere. Poi il Briganti si è tranquillizzato in quanto leggendo il giornale ha constatato che quest’ultimo non era tra gli arrestati. Il punto di riferimento di Maurizio Briganti all’esterno è un tale con i capelli corti, piazzato, cognato o genero dello stesso Briganti; pensandoci bene si tratta del compagno della figliastra di Maurizio Briganti e da poco è diventato padre».
Pasquale Briganti, detto Maurizio, è stato più volte condannato con sentenze definitive per associazione mafiosa. Soggetto di spicco della Sacra Corona Unita è «capo, promotore e dirigente del clan che porta il suo nome, operante nella zona di Lecce e in particolare nella zona 167 B del capoluogo salentino (le c.d. “Vele”), attivo nel settore del traffico di stupefacenti, delle estorsioni, del gaming e dei servizi di guardiania», scrive il GIP Marcello Rizzo nell’ordinanza di custodia cautelare.
Il soggetto indicato da Montedoro come attuale punto di riferimento di Briganti all’esterno è Zecca Carlo che, dopo un periodo di convivenza, ha sposato Greco Martina, figlia del pregiudicato Greco Nicola, detto Nico, e di Blago Carmen, attuale compagna di Briganti; il 13 dicembre 2017 è nato il figlio di Zecca e Martina Greco.
Gli investigatori, per riscontrare le dichiarazioni del Montedoro, hanno eseguito intercettazioni telefoniche, intercettazioni dei colloqui in carcere tra Briganti e le persone che potevano fargli visita e intercettazioni telematiche tramite captatore installato nei telefoni in uso a Francesco Capone e Carlo Gaetani, individui risultati molto vicini a Zecca.

Le estorsioni
Il clan si è dimostrato molto attivo nel settore delle estorsioni. In occasione del concerto del cantante Salmo, tenutosi il 9 agosto 2019 in Piazza Palio a Lecce, esponenti del sodalizio avrebbero avvicinato varie volte un venditore ambulante di gadget, dall’accento napoletano, minacciando lui e altri ambulanti al fine di estorcere denaro. Gli elementi di prova sono costituiti innanzitutto dalla relazione redatta dal Primo Dirigente della Polizia di Stato in qualità di Dirigente del Servizio di O.P. il 10 agosto 2019: «Alle ore 22:15 il capo contingente del Reparto Mobile di Bari impiegato in questa piazza per il servizio in argomento, richiedeva l’intervento dello scrivente in quanto una persona aveva segnalato una tentata estorsione ad opera di ignoti.
Raggiunto il predetto contingente, si aveva la presenza di un venditore ambulante di gadget, dall’accento napoletano, il quale, manifestando la volontà di voler rimanere anonimo, riferiva che poco prima era stato avvicinato da quattro giovani, giunti a bordo di due scooter di grossa cilindrata, uno di colore nero e l’altro di colore bianco, tutti con casco integrale, uno dei quali, con corporatura robusta e vistosi tatuaggi, lo minacciava proferendogli la seguente fase «se volete continuare a vendere dovete pagare 50 euro per ognuno di voi» (verosimilmente riferendosi ad un numero imprecisato di venditori ambulanti), e gli mostrava la pistola».
Ulteriori prove sono costituite dalle conversazioni intercettate la sera del 9 agosto 2019 attraverso il captatore informatico installato nel telefono di uno degli indagati che ha consentito di ascoltare le richieste estorsive rivolte ai commercianti ambulanti presenti sul posto. Le estorsioni erano praticate sistematicamente in quella zona, tanto che il clan programmava di estorcere denaro anche ai commercianti ambulanti che avrebbero operato presso lo stadio di Lecce in occasione delle partite del successivo campionato di serie A: «Adesso che arriva la serie… adesso che arrivano le sciarpe… quando c’è la Juve… il Napoli… l’Inter… allora… allora… là sono soldi…».
Anche nell’agosto 2019, in occasione della festa di Sant’Oronzo, patrono della città, il sodalizio avrebbe preteso dai gestori delle bancarelle il versamento della somma di 20 euro al giorno, ottenendo così 450 euro dopo un primo giro tra le bancarelle degli ambulanti. Anche in questo caso sono le intercettazioni a comprovare la consuetudine di estorcere denaro. Consuetudine a cui non potevano sfuggire pure i giostrai che operavano nella zona dello stadio comunale costretti a destinare un cospicuo numero di biglietti ai referenti del clan che li dividevano all’interno delle loro famiglie.
Il forte interesse per le estorsioni è confermato dalle conversazioni rilevate il 9 agosto 2019. I dialoghi captati comprovano che i sodali si facevano consegnare i proventi derivanti dal controllo dei parcheggi abusivi in occasione di manifestazioni sportive e concerti che si tenevano nella zona 167 di Lecce e fornivano indicazioni ai parcheggiatori sulle strade da coprire. In pratica, la gestione dei parcheggi in quel quartiere era nelle mani del clan. In una conversazione, Zecca, spalleggiato dai suoi uomini se la prende con un certo Antonio perché non si stava impegnando abbastanza nella sua attività di parcheggiatore abusivo, indicandogli di andare a posizionarsi nei pressi di un supermercato.
Zecca: stai come un coglione a casa… Marcolino è dalle due che sta…
Antonio: ma il posto mio… io ce l’ho il posto mio… se è chiuso dove mi metto Carlo…
Zecca: alla Lidl ti sto dicendo…

Le armi
Dalle indagini è emerso che il sodalizio fosse interessato all’acquisto di armi, in particolare di un kalashnikov. L’arma sarebbe stata ritirata presso il campo sosta Panareo in cambio di una pistola e di denaro contante. Durante le intercettazioni gli investigatori hanno avuto modo di ascoltare l’esplosione di colpi di arma da fuoco riconducibili alla prova fatta per verificare l’effettivo funzionamento delle armi.
Da un’altra conversazione emergeva la disponibilità di altri 4 kalashnikov e la possibilità di poter importare anche un bazooka. Parte delle armi venivano nascoste in un’abitazione allo stato rustico ubicata in un appezzamento di terreno sulla strada Lecce/San Cataldo.
Il 25 settembre 2019 la polizia giudiziaria ha effettuato un sopralluogo sul suddetto terreno rinvenendo e sequestrando un borsone verde militare al cui interno erano occultati un kalashnikov, tre pistole e un certo numero di cartucce. «Il borsone era stato nascosto nel vano bagno, sotto un coperchio di legno ricoperto da pietre, in una botola di accesso alla cisterna che era priva di acqua ed era assicurato con una corda legata a dei chiodi infissi nella parete. Il bagno era all’interno di una delle tre strutture abitative, quella centrale, che formavano un unico complesso a forma di “L” capovolta. Alla struttura si accedeva da un ingresso principale prospiciente la strada provinciale Lecce-San Cataldo, protetto da un alto cancello in ferro chiuso da due lucchetti, e da un ingresso secondario, ubicato nel quadrante posteriore sinistro della zona, protetto anch’esso da un alto cancello pannellato in ferro, munito di lucchetto, divelto dall’alloggiamento, cui si giungeva percorrendo una strada sterrata delimitata da una sbarra chiusa con un lucchetto. Il borsone contenente le armi era legato da una lunga corda in nylon bianca a due anelli metallici laterali ed assicurata ad un chiodo fissato sul lato interno della botola. Il tutto veniva documentato con rilievi fotografici e balistici», si legge nell’ordinanza in cui il GIP descrive dettagliatamente i luoghi. Dai successivi accertamenti effettuati, le armi sono risultate tutte pienamente funzionanti. 

Il sostegno economico ai detenuti e il dominio sulla zona 167 B di Lecce
Le indagini hanno consentito anche di appurare la destinazione di parte dei proventi del clan al sostentamento economico dei detenuti e delle loro famiglie o al pagamento delle spese legali. Da una conversazione si percepisce che la moglie di un detenuto, ristretto in regime di detenzione domiciliare, si era rivolta ad un altro affiliato per ottenere un aiuto economico.
Un’altra vicenda dimostra, invece, il dominio esercitato dal clan sulla zona 167 B di Lecce. Era il 15 ottobre 2019 quando un minore veniva formalmente invitato insieme alla madre presso gli Uffici della squadra Mobile di Lecce per essere interrogato in quanto indagato in un procedimento giudiziario. Dopo questa convocazione, la madre del minore si rivolgeva ad una donna molto influente all’interno del sodalizio e ad un altro soggetto di spicco per avere un consiglio al fine di evitare ulteriori problemi.
La madre del ragazzo si trovava in una situazione drammatica in quanto da un lato cercava di proteggere i propri figli che rischiavano di essere arrestati per i piccoli reati che commettevano e dall’altra era costretta a sottostare alle regole imposte dal clan Briganti. Un affiliato, infatti, le aveva detto frasi del tipo: «Non va bene che fate i cani sciolti», riferendosi evidentemente al fatto che il minore commetteva reati senza il consenso del sodalizio egemone in quella zona. In un'altra circostanza le era stato detto che «qui funziona in un determinato modo», ad evidenziare che in quel quartiere vigevano regole ben precise che bisognava rispettare.La donna, pur affermando che i figli «sono dei rompi cazzo» e che potevano intralciare i traffici illeciti della zona, chiedeva di essere lasciata tranquilla per poterli crescere al meglio, in modo da evitare che venissero arrestati. Esprimeva quindi la volontà di continuare a vivere in quel quartiere dove le era stata assegnata una casa, anche perché potendo disporre solo del denaro guadagnato con il suo umile e faticoso lavoro di addetta alle pulizie, non aveva la possibilità di trovare un’altra casa.
«La vicenda appena illustrata dimostra il ruolo egemone del gruppo di Zecca nella zona 167 B di Lecce, ruolo riconosciuto anche dalle persone comuni che abitano in quella zona», chiosa il GIP nell’ordinanza.

I riti di affiliazione
Il 4 settembre 2019 veniva intercettata una conversazione nel corso della quale un affiliato al clan esortava un atro soggetto a “legarsi”, cioè ad affiliarsi al clan, evidenziando l’importanza e l’utilità di tale decisione.
In altri dialoghi captati il 18 gennaio 2020 si discorreva della formula di giuramento che avrebbe dovuto essere pronunciata da un individuo in occasione della sua affiliazione e degli altri preparativi necessari per la cerimonia. Si tratta della ormai celebre formula in cui vengono menzionati i tre leggendari cavalieri “Osso, Mastrosso e Carcagnosso”.
Durante il rito di affiliazione al nuovo sodale veniva praticato un “taglio sul dito” come previsto dal rituale.
Il 31 gennaio 2020 Gaetani Carlo detto “Carletto”, Zecca Carlo e Aleandro Capone, tutti componenti del sodalizio, celebravano o facevano le prove per celebrare la cerimonia di “rialzo di dote” di Capone. Rito che avrebbero celebrato citando una formula solitamente utilizzata negli ambienti della ‘ndrangheta.
Gaetani: buon vespero e santa sera ai nostri santisti giustappunto questa sera nel silenzio della notte e sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna formo la santa catena. In nome di Garibaldi Mazzini e La Marmora con parole di umiltà formo la santa società in nome di Garibaldi Mazzini e La Marmora con parole passo alla prima la seconda e la terza votazione sul conto di Aleandro e se prima lo conoscevamo come un saggio fratello fatto e non fidelizzato da questo momento lo conosco come un mio saggio fratello sotto la luce delle stelle…
Capone: giuro su questa boccetta di veleno giuro di portare sempre con me questa boccetta di veleno… e se per disgrazia dovrei tradire questi nuovi fratelli di santa di avvelenarmi con le mie stesse mani giuro su questa arma e di fronte a questi nuovi fratelli di santa…
Gaetani: … (incomprensibile)…
Capone: ... e di rinnegare la società di sgarro e qualsiasi organizzazione e far parte alla santa corona e di e di e di dividere sorte e vita con questi nuovi fratelli
Zecca: deve uscire un poco di sangue no?
Gaetani: da questo momento ti conosco come mio saggio fratello sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna formo la santa catena in nome di Garibaldi Mazzini e La Marmora con parole d’umiltà è sformata la santa società saggi fratelli siamo pronti alla fidelizzazione a nome Gasparre Melchiorre e Baldassarre e di nostro signore Gesù Cristo passo la prima votazione sul conto del nostro fratello Aleandro se fino adesso era un uomo riconosciuto alla santa alla santa sacra corona adesso lo riconosciamo per un nostro fratello non ancora riconosciuto e fidelizzato a nome di Gasparre Melchiorre e Baldassarre e di nostro signore Gesù Cristo passo alla seconda votazione se fino adesso era riconosciuto fratello non ancora appartenente… 

Capone: giuro su questa arma e davanti a questi fratelli di non partecipare a nessuna società e a nessuna organizzazione tranne al precedente vangelo e giuro di essere fedele dividendo sorte e vita con i miei fratelli

Gaetani: a nome di Gasparre Melchiorre e Baldassarre e di noi tutti saggi fratelli presenti e assenti si passa alla terza e ultima votazione al nuovo fratello amato e abbracciato fidelizzato e baciato con giuramento già fatto e con la croce sulla spalla sinistra giurando con lui di essere fedele con gioia e sangue a nome di Gasparre Melchiorre e Baldassare in questo sacro giorno e con la luce delle stelle noi tutti saggi fratelli cavalieri d’onore sformiamo questo sacro vangelo… battezzo questo locale come noi lo battezziamo con ferri e catene siamo conformi?... sino al termine dell’impegno.

I rapporti con il clan Pepe-Penza e con il clan Troisi
Le indagini hanno permesso anche di appurare i rapporti tra il clan Briganti e il clan Pepe-Penza, anch’esso attivo a Lecce e nei comuni limitrofi. Relazioni riconducibili essenzialmente alla pianificazione delle attività connesse al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Il collaboratore di giustizia Tommaso Montedoro, pur dichiarando che i rapporti tra Pasquale Briganti ed Antonio Marco Penza non erano del tutto idilliaci, precisava che questi rapporti erano stati instaurati per le capacità dimostrate da Penza nell’operare nel settore del traffico di droga: «I rapporti tra Briganti Maurizio e Marco Penza sono sempre conflittuali ma il Cristian Pepe tiene molto a Marco Penza perché è notoria la sua capacità nel settore del traffico di stupefacenti…» (Stralcio del verbale di interrogatorio reso il 5 settembre 2018).
Il 30 luglio 2019 veniva intercettata una telefonata da cui si capiva che Carlo Zecca, personaggio di spicco del clan Briganti, si approvvigionava di stupefacente da Marco Penza, anche se costui non era il suo unico fornitore.
Il 7 agosto 2019, presso un noto ristorante della città, si festeggiava il compleanno di un soggetto a cui partecipavano esponenti dei due sodalizi. Le conversazioni captate in quella occasione confermavano che i rapporti tra il gruppo di Zecca e il clan Pepe/Penza erano riconducibili al traffico di sostanze stupefacenti. I contatti avvenivano attraverso “telefoni criptati” che, peraltro, Zecca riusciva ad utilizzare con difficoltà tanto da privilegiare gli incontri di persona in luoghi stabiliti.
Nel corso delle indagini sono stati verificati anche diversi contatti tra il gruppo di Zecca e il clan Troisi, attivo nella zona di Casarano, Racale e dintorni. In particolare, i rapporti erano tenuti da Francesco Capone e Federico Foccillo, referente del clan Troisi. Il 26 settembre 2019 venivano intercettate due telefonate tra Francesco Capone e Foccillo il cui contenuto faceva capire che i due si sarebbero incontrati a breve presso una sala giochi gestita da Foccillo. Il 3 luglio 2019 era invece Foccillo a recarsi a Lecce per incontrare Francesco Capone e il 26 dello stesso mese Foccillo si recava ancora nel capoluogo per incontrare nuovamente Capone e rifornirsi di stupefacente. I dialoghi intercettati fanno capire che i due si conoscevano bene. Nel prosieguo della conversazione Foccillo chiedeva a Capone se il gruppo leccese stesse spacciando anche a Galatone. Quest’ultimo rispondeva che probabilmente questo era avvenuto in passato, quando a spacciare era un certo Simone, successivamente arrestato. Foccillo spiegava quindi che era subentrato lui sulla piazza di Galatone, ma precisava subito che non voleva intralciare eventuali affari del sodalizio leccese in quella zona.

L’imprenditore Giampiero Schipa e la gestione del Parco Belloluogo
Nell’ordinanza viene poi evidenziata la figura dell’imprenditore Giampiero Schipa, i cui rapporti con il clan Briganti erano già emersi nell’ambito del procedimento giudiziario denominato “Final Blow”. L’indagine appena menzionata aveva consentito di appurare che il clan Pepe si era aggiudicato la gestione del Parco Belloluogo di Lecce e questo aveva suscitato il disappunto di Schipa che a sua volta provocò una serie di contrasti emersi dalle intercettazioni eseguite in quel procedimento il 26 aprile 2018 e il giugno 2018.
Nei suddetti dialoghi Schipa si lamentava con Carmen Blago per essere stato estromesso dalla gara per l’aggiudicazione del bando relativo alla gestione del Parco Belloluogo e che Carlo Zecca e Cristian Cito avevano avvicinato Andrea Pepe, gestore di fatto del Parco, per chiedergli chiarimenti in merito e questi aveva spiegato che Schipa, all’epoca del bando, non era in possesso dei requisiti richiesti e, per impedire di vincere ad altri concorrenti, i Pepe avevano gareggiato e si erano aggiudicati l’appalto.
Inoltre, dalle intercettazioni emerge che Maurizio Greco aveva riferito a Totti Pepe dell’autorizzazione, probabilmente concessa da Pasquale Briganti, ad eseguire un’azione violenta contro Andrea Pepe attraverso killer provenienti da altre regioni al fine di non far capire a Totti Pepe che si trattava di una ripicca di Briganti (“che mandi a dire che si deve fare l’azione… ad Andrea”); Totti Pepe, a sua volta, aveva replicato che non avrebbe esitato a colpire Schipa (“vado a colpire Giampiero al volo”).
Il 9 giugno 2018, sempre nel corso dell’indagine “Final Blow”, è stata intercettata un’altra conversazione indicativa dei tentativi del clan Briganti di inserirsi nella gestione dei parcheggi del Parco Belloluogo.
Ci sono altre conversazioni che comprovano i legami tra Schipa e il clan. Il 29 agosto 2019, infatti, è stato captato un dialogo tra Francesco Capone e Zecca da cui si evince che Schipa preparava buste paga false poi utilizzate da Zecca e da altri per ottenere finanziamenti.
C’è un’altra conversazione, datata 9 settembre 2019, che conferma come Schipa fosse a disposizione del sodalizio anche per consigli su come avviare le pratiche per false assunzioni al fine di fare ottenere benefici economico/assistenziali a persone vicine al clan.

Il traffico di sostanze stupefacenti
Le indagini hanno appurato che il clan era molto attivo nel traffico di sostanze stupefacenti. Anche in questo caso si sono rivelate fondamentali le intercettazioni dalle quali è emersa la presenza di una base operativa organizzata presso una sala giochi e dalla disponibilità di luoghi sicuri in cui stoccare la sostanza ed in cui provvedere al suo confezionamento. I compiti venivano ripartiti tra i sodali, alcuni dei quali, in particolare, erano incaricati delle consegne sia a singoli consumatori, sia ad altri spacciatori estranei al sodalizio.
In una conversazione intercettata il 9 agosto 2019, Carlo Zecca, affiancato da Francesco Capone, convocava alcuni individui per rimproverarli di essersi approvvigionati da un altro fornitore, ricordando loro la regola secondo cui «in famiglia funziona così».
E ancora, in un dialogo captato il 29 novembre 2019, il Gaetani parlando con un uomo non identificato riaffermava la posizione dominante del clan nello spaccio di stupefacenti, sottolineando che poteva permettersi di scegliere chi rifornire in base alla sua affidabilità: «A questo punto lavora chi merita di lavorare».
In questo contesto Carlo Zecca ricopriva funzioni organizzative e direttive, gestendo il traffico di stupefacenti dalla sala giochi e intervenendo quando qualche acquirente tardava a onorare i debiti o si rivolgeva ad altri fornitori e coordinando le attività degli altri affiliati, tra cui Francesco Capone e Carlo Gaetani, che erano i suoi più stretti collaboratori, Aleandro Capone e Daniele De Vergori, anch’essi molto attivi nei traffici di droga gestiti dal sodalizio avendo, tra l’altro, accompagnato Zecca in un viaggio in Albania nel gennaio 2020.
Vi sono gravi indizi che Zecca operasse in nome e per conto di Pasquale, detto Maurizio, Briganti. A tal proposito, riprendiamo le dichiarazioni con cui avevamo aperto l’articolo, del collaboratore di giustizia Tommaso Montedoro che, nel verbale del settembre 2018 dichiarava: «Ultimamente c’è in atto l’ennesima riorganizzazione che per Lecce vede come capi Briganti Maurizio e Cristian Pepe. Nell’ultimissimo periodo Briganti Maurizio è in difficoltà poiché è stato arrestato il suo principale alleato all’esterno, ovvero Politi Saulle che il Briganti considera il suo vero e proprio braccio destro; penso che i due siano pari grado. Il Briganti era molto preoccupato in occasione del blitz per le sorti di Politi e sperava che non fosse stato arrestato un socio dello stesso Politi che diceva di essere un ex-finanziere. Poi il Briganti si è tranquillizzato in quanto leggendo il giornale ha constatato che quest’ultimo non era tra gli arrestati. Il punto di riferimento di Maurizio Briganti all’esterno è un tale con i capelli corti, piazzato, cognato o genero dello stesso Briganti; pensandoci bene si tratta del compagno della figliastra di Maurizio Briganti e da poco è diventato padre, cioè Carlo Zecca», conclude il GIP Marcello Rizzo.

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