«Significativo il fatto che non vi sia stata alcuna collaborazione da parte delle vittime, che, in taluni casi, non hanno neanche denunciato il rinvenimento di bottiglie incendiarie nei pressi dei propri esercizi commerciali». La denuncia del giudice per le indagini preliminari di Messina Ornella Pastore contenuta nell’ordinanza che ha disposto le clamorose 86 misure cautelari contro la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto sotto inchiesta per un giro spropositato di soldi centrato soprattutto sulle truffe intorno ai bonus edilizi del 110% la dice lunga su come l’omertà domini ancora nella cittadina a sud di Milazzo. Più volte investita già in passato da accuse pesantissime sulla complicità tra le cosche locali e le amministrazioni pubbliche.
Basti ricordare il contesto dell’area barcellonese ricostruito qualche anno fa da Alfio Caruso (già autore di saggi come «Da Cosa nasce Cosa» o «Perché non possiamo non dirci mafiosi») per raccontare nel libro «Io che da morto vi parlo» la storia di Adolfo Parmaliana, un docente universitario di chimica industriale che nel 2008, messo sotto inchiesta per diffamazione (lui, che aveva fatto affiggere un coraggioso manifesto di ringraziamento a Carlo Azeglio Ciampi per aver sciolto il consiglio comunale per le ingerenze della criminalità), si uccise buttandosi da un viadotto. A casa, sulla scrivania, aveva lasciato l’orologio, il portafogli e una lettera: «La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario».
«Mi hanno tolto la serenità, la pace, la tranquillità, la forza fisica e mentale», proseguiva, «Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei pensato mai di dover compiere». Concluse: «Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi travolgere dai fatti negativi, di non sconfortarsi, di studiare, di qualificarsi, di non arrendersi mai…». Chissà che oggi, sulla sua tomba, vengano posati dei fiori.
Fonte: Corriere della Sera
Tratto da: 19luglio1992.com
Il professore morto che denuncia
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