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"Gli arrestati fanno parte non di un solo clan ma di organizzazioni federate. Una, di tipo mafioso, riferita ai Pascali, e altre due che hanno a che fare con lo spaccio di sostanze stupefacenti. Una situazione che dà l'immagine plastica della realtà locale, di una realtà in evoluzione. Quanto alle forniture di cocaina e hascisch i gruppi avevano collegamenti con la camorra napoletana e la criminalità albanese". Sono state queste le parole dette dal prefetto Francesco Messina, direttore della direzione centrale anticrimine, durante la conferenza stampa in cui sono stati resi noti i risultati dell'indagine con il questore di Taranto Massimo Gambino, il direttore della prima divisione Sco, Marco Garofalo, il capo della Mobile di Taranto, Fulvio Manco e con il pm della Dda di Lecce che ha coordinato l’operazione, Milto Stefano De Nozza.
Il bilancio complessivo, è stato riportato, è di 38 ordinanze di custodia cautelare, 20 in carcere e 18 ai domiciliari.
Quella appena conclusa, ha detto Messina, è "una delle operazioni più significative per questa realtà. Ha disarticolato un'organizzazione mafiosa la cui mafiosità è stata accertata da sentenze passate e alcuni di loro sono ancora in carcere. L'attività di questa organizzazione era nel rione Paolo VI, qui era il loro core business. Ma si estendeva anche a livello provinciale. Anche recenti fatti di cronaca, come la sparatoria delle ultime ore a Taranto, la riteniamo collegata ad esponenti di questa organizzazione. Le indagini sono durate un paio di anni". L'operazione è "la dimostrazione plastica dei tentativi di queste organizzazioni, che definiremo mafiose vere e proprie, di prendere il controllo del territorio attraverso l'assoggettamento omertoso. Andiamo dall'associazione mafiosa all'associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Abbiamo a che fare con reati di armi, sono state infatti sequestrate numerose armi, ma anche con estorsioni massive". "Taranto - rileva Messina - ha gangli di sicurezza elevatissimi a fronte di un terroso criminale in evoluzione. Auspichiamo che possa esserci la collaborazione dei cittadini. Abbiamo disarticolato un'organizzazione effervescente e anche la presenza a livello apicale di due figure femminili, legate ad altri capi, lo dimostra. Questa organizzazione ricorreva anche ai social, con video su YouTube di cantanti neomelodici che spettacolarizzavano per azioni di questa organizzazione. La loro provvista derivava dal commercio di droga che acquistavano dalla camorra e dalla Mafia albanese".
Inoltre 15 persone - sospettate di appartenere al clan dei fratelli Nicola e Giuseppe Pascali - sono accusate di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni, allo spaccio di droga, all’acquisizione e alla gestione di attività economiche.
I provvedimenti restrittivi sono stati firmati dal gip Marcello Rizzo il quale evidenzia l'esistenza di "una forma di intimidazione silente e simbiotica" che si avvale "sempre e comunque della già esistente ed acclarata forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà”.
Ad altri indagati invece è stata contestata l'appartenenza ad altre due organizzazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti.
Il prefetto Messina ha evidenziato anche "la capacità analitica da parte della Questura, della Polizia di Stato, che ha portato avanti un'attività investigativa passando attraverso un rigido controllo del territorio che serve a mettere le pezze anche rispetto alla mancanza di senso civico dei cittadini vittime di estorsioni che, invece, potrebbero facilitare le nostre attività”. Il Questore di Taranto Massimo Gambino ha detto che "si tratta di una operazione importante per il territorio con risposte immediate contro la criminalità, come testimonia anche il sequestro di armi durante l'esecuzione delle misure cautelari”.
Secondo gli investigatori a questa indagine vi sarebbe un collegamento, tutt’ora al vaglio degli inquirenti, con una sparatoria avvenuta ieri pomeriggio nel rione Tamburi di Taranto (per la quale è stato già arrestato un pregiudicato 32enne) e alcune attività riconducibili al clan Pascali.
C’è sicuramente qualche fibrillazione - ha affermato Messina - non siamo ancora in grado di dire di più, ma abbiamo motivo di ritenere che si siano sviluppate delle dinamiche nell'organizzazione disarticolata oggi". Secondo Messina, "immediatamente a calmierare una situazione delicata. La notte scorsa abbiamo trovato anche diverse armi. Si andava quindi a un innalzamento della tensione e l'intervento effettuato questa mattina è stato provvidenziale". La sparatoria “è avvenuta con modalità gangheristiche. Si è sparato ad altezza d'uomo. Per dimostrare l'affermazione di un potere mafioso, più che all'esterno, all'interno dell'organizzazione stessa". Tre auto erano arrivate ieri in una zona dei Tamburi e gli occupanti si sono affrontati con le armi. Una Smart è stata trovata sul posto con fori di proiettile nella carrozzeria. La persona arrestata aveva ancora la pistola con sè.

Il ruolo delle donne
Dalle conversazioni intercettate nel corso delle indagini coordinate dalla Dda di Lecce sono emersi anche i ruoli delle donne, da reggenti del gruppo ritenuto di stampo mafioso a postine degli ordini impartiti dai mariti ristretti in carcere e destinati agli affiliati. "Sono stati raccolti elementi idonei a sostenere come la moglie del capoclan storico fosse diventata la reggente in libertà di tutte le attività illecite del sodalizio secondo le precise disposizioni del marito detenuto, oltre a svolgere, insieme alla cognata, la funzione di supervisore delle attività del clan per ciò che attiene il settore delle estorsioni", hanno spiegato gli investigatori a margine della conferenza stampa, aggiungendo che le donne "avrebbero avuto il compito di recapitare all'esterno del carcere messaggi contenenti ordini e direttive degli esponenti apicali dell'organizzazione criminale detenuti e di procedere alla riscossione del denaro di provenienza delle attività estorsive”.

Il controllo del territorio da parte di clan
"Il metodo mafioso massivo e le estorsioni verso gli esercizi commerciali, alla rivendita di auto, alla coltivazione dei mitili, avvenivano senza colpo ferire. Nessun ricorso a violenza e minaccia in termini evidenti. Nessuna azione violenta verso i soggetti estorti" ha spiegato il prefetto Francesco Messina aggiungendo che gli esponenti del sodalizio mafioso "si presentavano settimanalmente e ottenevano dagli estorti la provvista”.
Il clan sgominato a Taranto, secondo i rapporti degli investigatori, non aveva bisogno di gesti di violenza per dominare il territorio di riferimento. Infatti bastava agli affiliati (tra cui i capi, che sono fra l’altro fratelli, e alle rispettive mogli) evocare tacitamente l'esistenza e l'appartenenza al clan. In questo modo riuscivano a ottenere la dazione settimanale delle somme non complessivamente quantificabili, facendole figurare come un 'pensiero' per il sostentamento delle famiglie dei membri dell'organizzazione. Il dominio del territorio era possibile, quindi, grazie alla fama criminale esercitata soprattutto nella zona del Quartiere Paolo VI del capoluogo jonico ed altre zone della città. Il provvedimento giudiziario ha evidenziato che i due fratelli avrebbero proseguito l'azione criminale del sodalizio, nonostante lo stato di detenzione, conservando e rafforzando l'egemonia del clan sul territorio nei confronti sia dei propri esponenti, sia della società civile. Il racket delle estorsioni ed il traffico di sostanze stupefacenti erano tra le fonti di reddito con carattere di sistematicità. Dalle indagini e dalle intercettazioni sarebbe emerso come, anche durante il periodo di detenzione dei due fratelli, il clan abbia continuato nel traffico di droga, approvvigionandosi dal versante napoletano e da altri clan affiliati alla camorra. In ogni caso, i membri del clan, pur svolgendo in autonomia e in forma associativa l'attività delittuosa, riconoscevano ai vertici una quota dei loro introiti, ossia una vera e propria 'royalty'. In questo modo si assicuravano di poter spendere il 'buon nome' dei fratelli ed usufruire di canali di approvvigionamento di stupefacenti vicini agli stessi. Sarebbero quindi due i gruppi criminali autonomi e indipendenti cui è stato contestato il reato dell'associazione armata aggravata ex articolo 74, a carico dei quali sono stati effettuati numerosi sequestri di ingenti quantità di droga, denaro, armi e munizioni. Tra gli altri, quasi 3 chilogrammi di cocaina, 200mila euro in banconote di vario taglio conservate anche in mazzette sottovuoto, armi e munizioni tra cui una pistola semiautomatica clandestina Beretta calibro 7,65; una pistola tipo revolver di marca Weihrauch calibro 38 special con matricola abrasa risultata essere poi provento di furto; una pistola da guerra semiautomatica ed automatica con matricola abrasa, con funzionamento sia a colpo singolo sia automatico a raffica; una penna pistola in calibro 6,35 mm (arma camuffata e quindi arma tipo guerra); un silenziatore perfettamente compatibile; numerosi proiettili calibro 7,65 e 38 special. Tra le vittime delle estorsioni soprattutto titolari di esercizi commerciali per la vendita di automobili, bar, pizzerie, ortofrutta, imprenditori nel settore delle bevande, nel settore dei mitili, titolari di imprese di pulizie, gestori di piazze di spaccio. Oltre alle sostanze stupefacenti e le armi, sono state sequestrate anche numerose lettere. In particolare, corrispondenza trasmessa al maggiore dei due fratelli da soggetti appartenenti al sodalizio criminale, corrispondenza dal padre e dai fratelli e, infine, corrispondenza da appartenenti ad altri clan. Nelle stesse, si esprime la vicinanza e la devozione al capo nonché si dà conto anche dell'attività estorsiva nelle quali spendono il suo nome ed il suo prestigio. 

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