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La bomba che esplose all’interno del salone della Banca Nazione dell’Agricoltura il 12 dicembre 1969 provocò 17 morti e 88 feriti. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Fu attacco alla democrazia”

“Il micidiale ordigno che 52 anni or sono venne fatto esplodere nella sede della Banca nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, distrusse vite innocenti, sconvolse il Paese, diede avvio a una scia di sangue e terrore che la nostra comunità riuscì a fermare solo dopo anni di impegno e sofferenze”. Queste sono le parole con le quali oggi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato quel drammatico 12 dicembre 1969, in cui una violentissima esplosione di una bomba confezionata con 7 kg di tritolo, e posta all’interno di una valigetta (che poi si rivelerà essere un elemento fondamentale per le successive indagini) interruppe il gioioso clima natalizio di Milano, causando 17 morti e 88 feriti.
Al tremendo attentato di Piazza Fontana, quasi in contemporanea, se ne aggiunsero altri 3, che nell’arco di 52 minuti destabilizzarono la quiete di Roma, colpendo in ordine: La Banca Nazionale del Lavoro in via di San Basilio, Piazza Venezia e l'Altare della Patria, totalizzando circa 17 feriti.
Una quinta bomba (inesplosa) sarebbe dovuta detonare nei pressi della Banca Commerciale a Milano: tale ordigno fu ideato con le medesime modalità del primo che colpì il capoluogo lombardo e posto in una valigetta identica a quella che detonò nella Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Quella che oggi viene ricordata come “la strage di Piazza Fontana” non fece solo da apripista a un decennio di stragi e terrorismo, ma è ricordata dagli addetti ai lavori come il più clamoroso depistaggio del dopoguerra. Non a caso venne ed è definita tutt’oggi una strage di Stato, perché la stessa notte in cui detonarono le bombe nelle due principali città italiane, si mise in atto una sofisticata macchina che avrebbe depistato le indagini, minacciato i vertici delle istituzioni e coperto per oltre 30 anni gli autori materiali dell’evento. Quel 12 dicembre di 52 anni fa segnò l’inizio della cosiddetta “Strategia della tensione”.
Per comprendere meglio la strage di Piazza Fontana, è necessario fare un passo indietro e guardare attraverso un’ottica olistica tutto l’assetto socio-politico che caratterizzava l’italia sul finire degli anni Sessanta.
Il Belpaese si trovava, in effetti, nell’occhio del ciclone della Guerra Fredda e di conseguenza rappresentava un territorio aspramente conteso sul piano politico dalle due correnti mondiali dell’epoca, capeggiate da Russia e Stati Uniti. Alla situazione geopolitica però si aggiungeva il fatto che l’Italia era uno dei paesi usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, quindi soggetta alle imposizioni delle potenze vincitrici, in poche parole con una sovranità politica ed economica limitata.
Per comprendere meglio la situazione che il nostro Paese stava vivendo c’è un documento segreto del 1951 del Consiglio di Sicurezza Nazionale Americano, dal quale si evince un diretto coinvolgimento degli Stati uniti nella politica interna italiana; in quella direttiva inoltre si legge che: “Nel caso in cui i comunisti guadagnassero la partecipazione al governo con mezzi legali o il governo stesso cessasse le sue volontà di opporsi al governo comunista, gli Stati Uniti sarebbero dovuti intervenire, anche militarmente”.
Da un lato quindi, c’era il pericolo comunista, che si stava diffondendo in Italia e in Europa e dall’altro la pressione politica statunitense che voleva debellare questa sempre più crescente onda comunista. Questo era il quadro dei rapporti di forza nella quale stagnava la nostra politica.
Grazie alle indagini giudiziarie che nel tempo sono state portate avanti, anche in relazione ad altri attentati, sono emersi i molteplici giochi di potere che si sono mossi dietro la strage di Piazza Fontana. Uno scacchiere che vide il coinvolgimento di servizi segreti americani ed italiani, massoneria, politica deviata, mercenari e organizzazioni eversive di estrema destra come l’Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo che cooperarono nel fallito tentativo di Golpe, di cui urgeva l’attuazione per via della sempre maggiore minaccia comunista.
Tornando a quel doloroso 12 dicembre è importante porre l’attenzione sull’immediata messa in atto di una serie di depistaggi che deviarono l’attenzione pubblica e sulle indagini nei confronti delle associazioni anarchiche. Quest’ultime culminarono con l’arresto di Vincenzo Valpreda, uno dei fondatori del circolo “22 marzo”. Tali piste, in un momento successivo, si rivelarono false e costruite a tavolino per salvaguardare l’impunità della vera matrice che causò le stragi, quella neofascista, rappresentata dal movimento di estrema destra Ordine Nuovo.
Come ha sostenuto il giudice milanese Guido Salvini, che condusse l’istruttoria 1989-97 su Piazza Fontana, sulla base della quale il 30 giugno 2001 sono stati condannati in primo grado per gli imputati Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi (entrambi ex Ordine Nuovo), il primo come esecutore della strage, e il secondo come organizzatore, e la loro assoluzione in appello il 12 marzo 2004 con conferma dell’assoluzione in Cassazione il 3 maggio 2005, “tutte le sentenze su Piazza Fontana, anche quelle assolutorie, portano alla conclusione che fu una formazione di estrema destra, Ordine Nuovo, a organizzare gli attentati del 12 dicembre. Anche nei processi conclusi con sentenze di assoluzione per i singoli imputati è stato comunque ricostruito il vero movente delle bombe: spingere l’allora Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza nel Paese, in modo da facilitare l’insediamento del governo autoritario”. E ancora: “Come accertato anche dalla Commissione Parlamentare Stragi, erano state seriamente progettate in quegli anni, anche in concomitanza con la strage, delle ipotesi golpiste per frenare le conquiste sindacali e la crescita delle sinistre, viste come il ‘pericolo comunista’, ma la risposta popolare rese improponibili quei piani. Il presidente Rumor, fra l'altro, non se la sentì di annunciare lo stato di emergenza. Il golpe venne rimandato di un anno (Golpe Borghese), ma i referenti politico-militari favorevoli alla svolta autoritaria, preoccupati per le reazioni della società civile, scaricarono all'ultimo momento i nazifascisti. I quali continuarono per conto loro a compiere attentati. Cercarono anche di uccidere Mariano Rumor, con la bomba davanti alla Questura di Milano (4 morti e 45 feriti) del 17 maggio 1973, reclutando il terrorista Gianfranco Bertoli”. Riferendosi all’assoluzione in Cassazione del 2005: “L'assoluzione definitiva è stata pronunciata con una formula che giudica incompleto, ma non privo di valore, l'insieme delle prove raccolte. Sono esistiti in questa vicenda pesanti depistaggi da parte del mondo politico e dei servizi segreti del tempo. Però non è del tutto esatto che responsabilità personali non siano state comunque accertate nelle sentenze. Almeno un colpevole c'è, anche nella sentenza definitiva della Cassazione del 2005: si tratta di Carlo Digilio, l'esperto in armi e in esplosivi del gruppo veneto di Ordine Nuovo, reo confesso, che fornì l'esplosivo per la strage ed il quale ha anche ammesso di essere stato collegato ai servizi americani. Digilio ha parlato a lungo delle attività eversive e della disponibilità di esplosivo del gruppo ordinovista di Venezia, di cui faceva parte Delfo Zorzi, assolto poi per la strage per incompletezza delle prove nei suoi confronti, in quanto la Corte non ha ritenuto sufficienti i riscontri di colpevolezza raggiunti. Né sono bastate le rivelazioni di Martino Siciliano, che aveva partecipato agli attentati preparatori del 12 dicembre insieme a quel gruppo, con lo scopo di creare disordine e far ricadere le accuse su elementi di sinistra. Ma nelle tre sentenze risultano confermate le responsabilità degli imputati storici di Piazza Fontana, pure loro di Ordine Nuovo: i padovani Franco Freda e Giovanni Ventura. Essi però, già condannati in primo grado nel processo di Catanzaro all'ergastolo, e poi assolti per insufficienza di prove nei gradi successivi, non erano più processabili. Perché in Italia, come in tutti i paesi civili, le sentenze definitive di assoluzione non sono più soggette a revisione”.
Basandoci sulle indagini condotte dal giudice Salvini, già alla fine degli anni ’80 risultava chiara la partecipazione alla strage di Piazza Fontana dei movimenti eversivi di estrema destra. Una verità purtroppo non consacrata in nessuna sentenza.
Infine, stando alle dichiarazioni del reo confesso e membro appartenente ad Ordine Nuovo Carlo Digilio, emerse il coinvolgimento di apparati dei Servizi segreti americani i quali, dalla fine della Seconda guerra mondiale, in collaborazione con altri poteri deviati, non hanno mai smesso di condizionare la direzione e la gestione politica del nostro Paese.

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