Our Voice intervista l'attivista uruguaiana
Un incubo ad occhi aperti. Una vita tormentata dal buio, dalle grida, dal dolore. La paura, insuperabile, di camminare sul bordo di una strada, l’angoscia della solitudine e dell’abbandono e la mancanza profonda di una casa e di una famiglia. “Non sarò veramente libera finché non lo saremo tutte”, sono state le parole che Sandra Ferrini, una delle migliaia di vittime uruguaiane della tratta internazionale a scopo di sfruttamento sessuale, ha pronunciato nell’intervista rilasciata alle giovani ragazze del Movimento Our Voice. Una storia di orrore, vissuta a partire dall’età di 8 anni e per la quale oggi Sandra riporta gravi ferite e cicatrici, sia fisiche che interiori.
Un racconto che rappresenta lo specchio di una società perversa, che mercifica i corpi e la vita stessa, facendone scempio e oggetto di vergogna. Oggi in effetti, sono 40 milioni le persone vittime di tratta nel mondo, di cui 4.168 bambine accertate solamente in Europa.
Un incubo che spesso inizia all’interno delle stesse famiglie con i genitori che vendono ai bordelli e ai trafficanti le proprie figlie, obbligandole alla prostituzione, al fine di ottenere in cambio un guadagno economico. Esattamente ciò che è successo a Sandra.
Un incubo iniziato in famiglia, il lavoro in strada e le minacce al padre
Fin da piccola veniva obbligata dalla madre a prostituirsi prima con il vicino di casa, poi nelle strade e nelle piazze del quartiere. “Questo è un momento che è rimasto indelebile dentro di me - ha raccontato - ero molto piccola, mia mamma mi accompagnava e a quell’età non potevo ancora capire cosa stava accadendo, non conoscevo cosa fosse una penetrazione. Poi pensavo che se mi ci portava mia mamma, allora era una cosa buona, mi fidavo e ho finito per naturalizzarlo”.
Da quel momento la sua vita cambiò radicalmente, perché le violazioni e le violenze da parte di uomini sconosciuti iniziarono ad essere costanti e quotidiane. Persino lo zio e il padre della sua migliore amica cominciarono ad abusare di lei periodicamente.
Il suo silenzio venne pagato con minacce da parte della sua stessa famiglia nei confronti del padre, l’unico importante punto di riferimento per la giovane donna: “Mio padre era l’uomo più grande che abbia mai conosciuto, se avesse saputo cosa mi stava accadendo non avrebbe mai acconsentito. Io non potevo perderlo”.
Così, all’età di soli 12 anni Sandra finì a lavorare per strada e dal suo racconto, straziante, emerge la disumanità della famiglia e dei trafficanti che speculavano sulla sua vita e sulla sua carne e la drammaticità della una vita di una bambina che avrebbe solo voluto andare a scuola o giocare con le sue compagne: “Per strada dovevo lavorare con le donne più adulte, ma non avevo ancora il seno e quindi mi iniettarono con delle siringhe l’olio degli aerei, che è una sostanza cancerogena e molto dolorosa”. L’iniezione di questo lubrificante per jet le provocò una grave mastite e le dovettero asportare il seno.
Nel suo racconto Sandra ha spiegato che entrare nel giro della tratta è come entrare in un girone dell’inferno, dal quale non c’è alcuna possibilità di uscita. Le bambine e le donne non hanno alcun tipo di controllo sulla propria vita, sono merce di scambio, non hanno percezione del proprio presente né del proprio futuro e vivono costantemente con l’angoscia di non arrivare vive a domani. “Scappare è difficile, io ci ho provato tante volte e ho provato a suicidarmi quattro volte”, ha evidenziato la donna. Impossibile, solamente ascoltando, comprendere la disperazione di tale costrizione e di tale imprigionamento.
Sono molte le donne che provano a fuggire dai bordelli, ma spesso il tentativo di fuga comporta un peggioramento drastico delle condizioni di vita. In effetti, i trafficanti, soprattutto nei paesi del Sud America, hanno contatti e accordi con le forze dell’ordine locali. Quest’ultime riescono sempre a catturare la maggior parte delle giovani e a riportarle dai proprietari, che spesso le torturano o addirittura le uccidono per aver trasgredito alle regole.
Gli spostamenti forzati in altri paesi, l’inferno della Spagna e l’esperienza in Italia
La storia di Sandra è stata un continuo e quotidiano tormento: all’età di 14 anni, attraverso la madre, conobbe un giovane che divenne poi anche il suo fidanzato, nel quale lei vedeva la sua unica speranza di scappare da quell’inferno. Dopo poco tempo però, anche lui si rivelò un violentatore: in effetti, si era messo d’accordo con la famiglia di Sandra per farla prostituire e dividersi il guadagno con la madre. Da quel momento iniziò a viaggiare con un passaporto falso in vari paesi del Sud America, come il Brasile, l’Argentina e il Paraguay e altri.
All’età di 25 anni decise di sposarsi con un’altra persona, con la quale ebbe un figlio. Sembrava che quel calvario, durato ben 17 anni, fosse finalmente finito, quando Sandra scoprì che anche suo marito era un trafficante e uno sfruttatore sessuale. Così riniziarono le minacce pesanti, questa volta nei confronti del bambino che intanto Sandra aveva dato alla luce. Fu obbligata ad abbandonarlo per essere venduta a trafficanti occidentali ed europei. Tutto questo con la promessa che sarebbe tornata a casa da suo figlio dopo 6 mesi. Ovviamente era un inganno. “In Spagna ho vissuto l’esperienza più brutta della mia vita, perché dovevo lavorare solo con l’intimo. Iniziavo alle 16 del pomeriggio e finivo alle 4 della mattina e non mi potevo mai sedere, non potevo piangere, non potevo andare dal medico”. Da quel posto provò a scappare moltissime volte, chiedendo aiuto anche agli zingari, ma i trafficanti riuscivano sempre a ritrovarla. Sandra ha raccontato anche la propria esperienza in Italia, dove lavorò prima “per programmi televisivi molto popolari” e poi venne reinserita da alcuni trafficanti, che la rintracciarono, nel giro della prostituzione: “Facevamo una media di 30 clienti a puntata. Poi mi trovarono e tornai in strada”.
La fuga per la libertà e il ritorno in Uruguay
Dopo ben 25 anni restò coinvolta in un pesantissimo incidente stradale, la portarono in urgenza in ospedale: aveva un polmone perforato, varie costole rotte, gravi ferite alla testa e numerose fratture, finì in sedie a rotelle. Era il 2005 e Sandra si trovava ancora in Italia. “I medici non mi davano più di 24 ore di vita”, ha spiegato la donna.
Durante l’intervista la donna spesso ha ricordato questo incidente drammatico come “un colpo di fortuna” che le permise di liberarsi dai suoi stupratori e dai trafficanti che la tenevano prigioniera: “Dopo l’incidente io ero merce inutile, perché non riuscivo più a camminare. Gli sfruttatori mi trasportarono a peso morto e mi buttarono in un campo di mais”. Venne salvata da un signore zingaro che si prese cura di lei per qualche mese.
Ma dopo 37 anni di soprusi e di torture sessuali e psicologiche, Sandra dovette sopportare anche violenze diverse, che non venivano dal mondo della tratta o della prostituzione, ma da persone che, al contrario, avevano il compito istituzionale di proteggerla. In effetti, nella gravissima condizione di salute in cui si trovava, venne violentata da un infermiere dell’ospedale e grazie ad un video che provava l’atto sessuale illecito, la donna andò a sporgere denuncia all’autorità pubblica. Il 1^ dicembre del 2006 iniziò il processo contro l’infermiere che l’aveva violentata. “Alla fine del processo mi hanno dato 70.000 euro ma non c’è una cifra che potesse ripagare ciò che avevo subito. Almeno però questi soldi mi hanno permesso di comprare una casa. La metà della somma l’ho data al mio avvocato, che è stato come un genitore per me”. La testimonianza di Sandra è angosciante e soffoca ogni tipo di parola o di risposta a questo scempio.
Nel 2011 Sandra scelse di tornare in Uruguay per stare con la famiglia e soprattutto per cercare di aiutare, attraverso la sua esperienza, le tantissime giovani, bambine e donne che oggi subiscono questa vergogna. Ciò che più sconvolge in effetti è la totale mancanza di tutela da parte degli organi dello Stato, dai quali Sandra non ha mai ricevuto alcuna protezione né garanzia: “In Sud America spesso la polizia è complice della tratta, e se vai a fare denuncia ti riportano indietro”.
In moltissimi Paesi, primi fra tutti quelli latino-americani, manca ancora una legislazione di contrasto forte alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione: contrasto che parta da una pulizia interna, dalle condanne alla corruzione e dallo smantellamento dell’intera rete di complicità istituzionali.
Soprattutto, spesso ci si dimentica che in questo sistema, i traffici e gli spostamenti di persone, sono gestiti dalle mafie: “Io letteralmente l’ho visto”, ha evidenziato Sandra, “con questi soldi loro comprano le armi e la droga, centinaia di kili di cocaina”.
Molte nazioni nel mondo stanno rispondendo alla tratta attraverso la legalizzazione della prostituzione e la considerazione a livello giuridico di quest’ultima come un vero e proprio lavoro, facendo leva, anche mediaticamente, sul fatto che molte donne decidono liberamente di farlo. Ma a questo Sandra ha risposto che si tratta di una vera e propria “pazzia”, perché “anche laddove è riconosciuto come lavoro, non c’è alcuna tutela” e chi gestisce la prostituzione, inevitabilmente alimentando anche il traffico, non viene criminalizzato.
La donna ha spiegato inoltre che “loro (i trafficanti, ndr) ti convincono a dire all’esterno che vuoi prostituirti, per confondere gli ascoltatori. Ti confondono e alla fine finisci per crederlo anche te stessa”.
Da quando è tornata in Uruguay Sandra Ferrini, tramite l’Associazione Civile Contro La Tratta, da lei stessa fondata, ha aiutato ad uscire dal giro della tratta più di 100 ragazze. La sua storia ha inspirato anche la produzione del film “Fragile come un secondo”, dove lei racconta personalmente tutto il suo vissuto. L’incontro con le ragazze del Movimento Our Voice è stato emozionante ed è durato molte ore. Ascoltare le sue parole ti rende spoglio di ogni comodità, di ogni agio e forma di indifferenza. Di fronte al suo racconto sei vuoto, impotente e con le ginocchia a terra in quanto vieni posto davanti alla crudezza della realtà, che non ha bisogno di mezzi termini o di metafore. E quando si tocca con mano il coraggio e la resistenza di milioni di ragazze e donne che vivono situazioni simili, si è chiamati inevitabilmente a prendere posizione e a non sentirsi più liberi fino a che anche l’ultima bambina non sarà più imprigionata in quell’inferno.