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Sette arresti, tra cui un agente. Nicola Morra: "Fatti gravissimi. Ancora di più per soggetti al 41-bis”

Droga e schede sim nascoste nei "pacchi colloquio" o nelle pizze per arrivare nelle mani di alcuni detenuti all'interno del carcere romano di Rebibbia. È questo il sistema con cui sarebbero entrati ripetutamente nell'istituto di pena stupefacenti, cellulari e schede telefoniche grazie anche alla complicità di un agente della Polizia Penitenziaria. La vicenda è emersa lo scorso 2 novembre; grazie ad un'indagine i Carabinieri della compagnia Eur e il Nucleo investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare - emessa dal gip di Roma su richiesta della Procura - nei confronti di sette persone. Tra questi vi è anche un agente della penitenziaria, finito ai domiciliari. Secondo gli inquirenti, il poliziotto - già sospeso in via cautelativa - avrebbe fatto da tramite tra i detenuti e l'esterno per facilitare l'introduzione illecita nel carcere di droga e telefoni. Dall’indagine, iniziata nel luglio del 2019 e terminata lo scorso febbraio, è emerso che l'uomo si era accordato "ripetutamente" con un detenuto "per l'introduzione all'interno del carcere, a cadenza mensile, di più pacchi contenenti sostanza stupefacente, cellulari e sim card e altri oggetti richiesti di volta in volta dal detenuto nonché per consentire l'utilizzo di telefoni cellulari all'interno delle celle durante il proprio orario di servizio, ricevendo in cambio, per ogni consegna, 300 euro o altre utilità”, si legge nell'ordinanza di custodia cautelare. Secondo il gip, l'agente "ha mostrato una notevole capacità a delinquere essendosi posto a servizio dei detenuti in totale spregio della divisa indossata". I sette arrestati (5 in carcere e 2 ai domiciliari) sono accusati, a vario titolo, di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, introduzione di dispositivi idonei alla comunicazione e di corruzione per atti contrari ai propri doveri. Per chi indaga, le richieste partivano da alcuni detenuti che si occupavano poi della successiva 'rivendita' di droga e telefoni nel reparto G8 del carcere romano.
Gli inquirenti, ricostruendo la filiera dello spaccio e dell'acquisizione dello stupefacente dall'esterno, hanno anche scoperto il coinvolgimento dei familiari di alcuni detenuti che utilizzavano i "pacchi colloquio" per far entrare in carcere quanto richiesto. In alcuni casi - sottolinea l'ordinanza del gip - è stato accertato che le sim arrivavano nascoste nella pizza spedita in carcere dai familiari. Oltre alle tessere per attivare i telefoni, all'interno delle pizze sono state ritrovate anche dosi di sostanza stupefacente. Chi indaga è riuscito ad intercettare una consegna con 40 pasticche di un oppiaceo e 10 schede che erano state occultate nel cibo.


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Morra: “Cellulari ai detenuti? Problema diffuso e serio”
"Fatti gravissimi nel carcere di Rebibbia, a Roma. È stato scoperto da carabinieri e polizia penitenziaria un traffico di stupefacenti, cellulari e schede sim, introdotti in modo illecito nel carcere, su richiesta di alcuni detenuti". A scriverlo su Facebook è Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, il quale sottolinea che "quello dei cellulari ai detenuti è un problema molto diffuso e serio, perché dare a certi soggetti la possibilità di comunicare con l'esterno - penso in particolare a chi sta nel 41-bis - rischia di vanificare l'efficacia della pena e nel caso dei soggetti più pericolosi del 'carcere duro' non smantelli un'organizzazione criminale se i vertici possono continuare a guidarla dal carcere". "E pensare che nonostante le migliaia di cellulari in carcere scoperti ogni anno, fino a poco tempo fa la sanzione prevista si limitava ad un illecito disciplinare - si legge -. Fu Bonafede, da ministro della Giustizia, a introdurre delle pene da uno a quattro anni nei confronti di chi fornisce cellulari ai detenuti. Reato che è accompagnato da un'altra misura molto dura per chi sta al 41-bis: chi agevola quel detenuto nelle comunicazioni con l'esterno, quindi non solo tramite i cellulari, vedrà la sua pena fissata da 2 a 6 anni. Se, poi, il reato è commesso da un pubblico ufficiale, o da un incaricato di pubblico servizio o da chi fa l'avvocato, la pena è da 3 a 7 anni”. “Occorre applicare e pubblicizzare queste pene per far rendere conto, a chi agevola tali comunicazioni, dei rischi reali che corre”, conclude il senatore.

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