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Alla presentazione del libro “L’uomo nero e le stragi”, intervenuto il procuratore Zincani che nel 1986 riportò l’inchiesta sui neofascisti

Nelle indagini sulla strage alla Stazione di Bologna “risultò evidente fin dall’inizio il ruolo di Ugo Sisti”. A dirlo, intervistato dal giornalista Marco Lillo durante la presentazione del libro “L’uomo nero e le stragi” (ed. PaperFirst), è Vito Zincani, uno dei massimi esperti di terrorismo nero in Italia, nonché giudice istruttore della prima inchiesta sulla strage della stazione di Bologna. Intervenendo insieme all’autore del libro Giovanni Vignali e Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime della strage del 2 agosto, Zincani ha parlato dell’ex procuratore di Bologna, accusato (e poi scagionato) di aver favorito l’ex di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini rinviato a giudizio per la strage. In particolare l’ex procuratore capo di Modena si è concentrato su un aspetto "personale" finora quasi del tutto inedito che lo ha riguardato in prima persona. “Il giorno della bomba io mi trovavo in Abruzzo nel mio paese di nascita. Sono rientrato in serata e il mattino successivo sono andato in procura per chiedere il da farsi. Siccome al tempo vigeva il codice di procedura penale vecchio che non consentiva alla procura della Repubblica di procedere in sommaria, per i fatti complessi era necessario formalizzare le indagini. Quindi il giudice istituito per legem ad occuparsi di un fatto come una strage era il giudice istruttore, per cui mi sono messo a disposizione. Il giorno seguente le indagini non furono formalizzate, iniziarono ad arrivare teorie fantasiose come lo scoppio di una caldaia”. Non solo, ha raccontato l’ex procuratore, “la procura della Repubblica ha proceduto per 40 giorni in sommaria violando una precisa prescrizione del Codice quando le indagini della procura si potevano fare solo per fatti semplici e brevi”. E questo, ha precisato Zincani, “è un fatto”. Dopo i 40 giorni, ha proseguito l’ospite nel suo racconto, “chiesi cosa volevano fare perché la situazione era abnorme dato che si stavano accumulando una serie di atti che non conoscevamo come giudici istruttori quindi si doveva formalizzare al 40esimo giorno e noi avremmo perso 6 mesi per rileggere quello che avevano fatto”. Pertanto “avevo chiesto di fare subito la formalizzazione e di designare un pubblico ministero che potesse occuparsi delle indagini perché il pubblico ministero poteva partecipare alle indagini del giudice istruttore e il giudice istruttore non poteva partecipare alle indagini del pubblico ministero”. “Quindi il ruolo chiave di questa vicenda - ha commentato Zincani - l’ha avuto il procuratore Ugo Sisti, il quale ha trattenuto le indagini sommarie, al 40esimo giorno - siccome non poteva fare diversamente, ha formalizzato - e il giorno prima della formalizzazione ha lanciato un messaggio occulto, che oggi decifriamo, dicendo che il giudice istruttore titolare della direzione dell’ufficio Angelo Vella, che era lui che avrebbe dovuto assegnare il processo, sarebbe dovuto essere sentito come testimone non si sa bene su che cosa e il dottor Vella si mise in ferie il giorno prima lasciando l’ufficio nelle mani del consigliere istruttore aggiunto Gentile che divenne istruttore del processo”. Fu il consigliere Gentile a chiedere a Vito Zincani di entrare nel pool che avrebbe indagato sulla strage. Ma erano già passati 40 giorni dall’attentato, i depistaggi e le ingerenze esterne sulla complessa attività di indagine erano già stati avviati da tempo e sarebbero continuati ancora al punto che “dopo pochi mesi sono stato costretto alle dimissioni perché di fatto cominciavo a vedere che la piega che avevano preso le cose era assolutamente ingestibile”. Ad esempio, ha detto durante l’intervista l’ex giudice istruttore, “vedevo percorrere i corridoi da un signore che conoscevo come colonnello dei carabinieri tale Musumeci e quando chiesi il perché della sua presenza mi venne risposto: ‘E il generale Musumeci dei servizi perché sono loro che devono trovare i responsabili’”. L’ennesima prova della presenza di servizi segreti nelle indagini. A quel punto “dissi: 'Bene, allora da domani io mi dimetto dall’inchiesta sulla strage'”, ha raccontato Zincani. “Ed è così che ne sono uscito, indenne oltretutto per ciò che poi si è verificato. Ho dovuto riprendere in mano le indagini dopo anni perché naturalmente la gestione di questo processo grazie anche all’opera depistante dei servizi era arrivata a un punto morto”. “Riprendendo le indagini nel 1984 - ha aggiunto - siamo arrivati a rinvio a giudizio nel 1986 di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro ecc…”. “Ovvero - ha sottolineato - avevamo imboccato quella che era la pista giusta anche se molte delle questioni ci vennero nascoste”. Secondo Zincani “stragi come quella di Bologna hanno caratteristiche comuni perché ad esempio vedono il ruolo fondamentale dei servizi segreti e di poteri occulti in loro insinuati, in questo caso la P2 che al tempo era addirittura la vertice dei servizi”. L’altro comune denominatore, secondo l’ex giudice istruttore, "è il conflitto tra uffici giudiziari che sono al tempo stesso il sintomo di una malattia di un sistema giustizia. Questi conflitti di interessi fanno parte di una precisa strategia”, ha concluso.

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