La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento senza rinvio con perdita di efficacia della misura cautelare disposta per la manager Cecilia Marogna, arrestata lo scorso 13 ottobre, e poi tornata libera a fine mese con obbligo di firma, nell’indagine del Vaticano sull’ex cardinale Angelo Becciu. La Corte d'appello milanese aveva convalidato l’arresto in carcere su mandato di cattura delle autorità vaticane ma i legali della donna hanno fatto ricorso in Cassazione contro la misura, revocata a fine ottobre. Ricorso che ora è stato accolto. L'arresto è stato dunque dichiarato illegittimo dalla Suprema Corte, tanto che la decisione potrebbe avere effetti anche sull'obbligo di firma con divieto di espatrio (ha dovuto consegnare il passaporto) poi deciso dalla Corte d'appello milanese a fine ottobre. Obbligo di firma che potrebbe decadere. Intanto, è fissata per il 18 gennaio l'udienza davanti alla Corte d'Appello chiamata a decidere se estradare o meno Marogna. Nell'ordinanza con cui l'avevano scarcerata i giudici (Matacchioni-Arnaldi-Siccardi) avevano spiegato che la sua consegna dall'Italia al Vaticano non è per nulla scontata, anche perché i legali hanno sollevato una questione centrale. I difensori hanno sostenuto che Marogna, accusata dalla magistratura d'Oltretevere di peculato e appropriazione indebita aggravata, non poteva essere arrestata "dato che l'accordo tra Italia e Vaticano", basato sui Patti Lateranensi, "consente l'estradizione dal Vaticano all'Italia", ma non viceversa. I promotori di giustizia del Vaticano in un atto del 19 ottobre hanno chiarito che, sebbene "non sussistano accordi bilaterali specifici" tra Italia e Santa Sede, entrambi gli stati "hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione". La 39enne è accusata di aver usato, "cospirando con altri individui", parte del mezzo milione di euro ricevuti per operazioni segrete umanitarie in Asia e Africa anche per l'acquisto di borsette e altri beni di lusso.
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