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Il racconto dell'ex esperto informatico del tribunale di Palermo e amico di Paolo
"Qualcosa di importante è accaduto un mese prima della strage"

Ben prima della strage di Capaci, datata 23 maggio '92, Paolo Borsellino aveva messo gli occhi su Silvio Berlusconi, all'epoca solo fiorente imprenditore. A rivelarlo a ilfattoquotidiano.it è Giovanni Paparcuri, sopravvissuto all'attentato contro Rocco Chinnici, e stretto collaboratore del magistrato assassinato 28 anni fa, oggi gestore del "bunkerino", il museo del Palazzo di giustizia di Palermo nel quale Paparcuri cura le stanze blindate al piano ammezzato dei componenti del pool Antimafia. Grazie all'intuizione di Borsellino, racconta, "divenni l’esperto informatico del pool Antimafia". Un compito delicato e di grande aiuto ai magistrati per i quali faceva diverse ricerche. Tra queste ce n'è una che è stata quasi dimenticata. “Mi ricordo che un giorno, circa una settimana prima della strage di Capaci, mi viene a trovare e mi dice testualmente: Giovanni, hai niente su Berlusconi?", ha rivelato Paparcuri. "Risposi: ma chi è? Mi fece pure il nome di Dell’Utri, ma non mi diceva molto. Però poi quando sentii il nome di Mangano, che io già conoscevo per le indagini su Spatola, dissi: posso cercare. Trovai parecchia roba su Mangano ma lui insisteva su questo Berlusconi". Dopo varie ricerche, spiega, "finalmente - anche grazie a una dritta - trovai un rapporto della Finanza di Milano, se non ricordo male. Era indicizzato in modo errato, cioè era stato inserito male nel computer perché i nomi di Berlusconi, dei fratelli Dell’Utri si trovavano solo all’interno del documento, ma non erano nella lista degli indagati. Quindi erano difficili da trovare". Quelle carte che Paparcuri lesse, stampò e consegnò a Borsellino sono le stesse che il magistrato mostrò a Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, i due giornalisti francesi che lo intervistarono il 21 maggio del 1992. Un'intervista resa pubblica in forma integrale soltanto nel 2009 di cui Paparcuri, confessa, non sapeva nulla all'epoca. “Col senno di poi credo che Borsellino prima di venire da me avesse parlato di quella vicenda con Falcone, che all’epoca era a Roma agli Affari penali del ministero della Giustizia. Ma questa è solo una mia riflessione”.


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Giovanni Paparcuri © Emanuele Di Stefano


Questo perché, spiega, "Borsellino non mi disse di fare una ricerca in modo rituale, ma chiese quasi a botta sicura: tu hai qualcosa su Berlusconi?". Un nome, quello del Cavaliere, che al tempo circolava tra le stanze dei magistrati del pool e che a distanza di 25 anni lo stesso Paparcuri trovò incredibilmente scritto su un appunto inedito di Falcone tra le carte delle vecchie dichiarazioni del pentito Francesco Marino Mannoia. Su quell'appunto, venuto alla luce solo nel 2017 grazie all'ex gestore della banca dati del tribunale di Palermo, c'era scritto "Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni a Grado e anche a Vittorio Mangano”. "Per questo col senno di poi - afferma Paparcuri - ho pensato: vuoi vedere che Borsellino aveva parlato con Falcene prima di venirmi a chiedere di fare quella ricerca su Berlusconi? Io quell’appunto l’ho trovato per caso, anche se poi mi hanno accusato di averlo fatto uscire per motivi politici. A me della politica è sempre fregato molto poco".

Gli ultimi giorni di Paolo
Giovanni Paparcuri, che con Borsellino condivideva oltre che un rapporto professionale anche un rapporto di amicizia, ha raccontato quelli che sono stati i suoi ultimi giorni di vita. In particolare quei 57 giorni che separano la strage di Capaci, dove morì il collega e amico Giovanni Falcone, e quella di vi d'Amelio. "Prima di Capaci sorrideva sempre - afferma - dal 23 maggio non lo aveva fatto più". "In quei 57 giorni era molto preoccupato ma non si fermava mai un momento. Disse più volte che voleva essere sentito dalla procura di Caltanissetta come testimone ma nessuno lo ha mai ascoltato". Secondo Paparcuri "qualcosa di importante per Borsellino è successo un mese prima della strage di via d’Amelio, tra il 18 e il 19 giugno", dice. Questo perché "in quei giorni passai a salutarlo, a scambiare due chiacchiere. Lui mi guardava e non mi vedeva: con lo sguardo mi attraversava. Chissà a cosa pensava. Una situazione surreale. Ancora peggio dieci giorni dopo, il 29 giugno, quando andai a fargli gli auguri per l’onomastico. Lui mi guardava, muto. Boh. Un silenzio di tomba, mi salvò dall’imbarazzo l’arrivo di un suo collega. Poi lo incrociai qualche volta ma non si fermò mai a parlare, si vedeva che voleva stare da solo con i suoi pensieri".

Foto di copertina © Imagoeconomica

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