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L’ex procuratore aggiunto intervistato dal gruppo delle Sardine di Bari: “Ci sono tutti gli elementi perché si apra un’inchiesta sulla vicenda”
“Io non so se c’è stata una nuova trattativa ma sicuramente qualcuno ha detto a Bonafede di togliere il rappresentante dello spirito di intransigenza, Nino Di Matteo, e di scegliere un rappresentante dello spirito di convivenza, senza offesa, Francesco Basentini”. E’ entrato nuovamente a gamba tesa l’avvocato Antonio Ingroia, già procuratore aggiunto di Palermo. Ingroia, intervistato dal gruppo 6000 Sardine Puglia, è tornato sulla vicenda della mancata nomina di Nino Di Matteo, oggi consigliere togato del Csm, al Dap da parte del ministro della giustizia Alfonso Bonafede, che nel 2018 affidò l’incarico, inizialmente proposto a Di Matteo, a Francesco Basentini. “Io non credo che sia stata una sua decisione indipendente ma siccome dentro lo Stato ci sono articolazioni che arrivano a vari vertici istituzionali, ritengo che qualcuno di grande autorevolezza abbia posto il suo veto sulla scelta di Di Matteo”. Il pm di punta del processo sulla trattativa Stato-mafia “ha subito una mortificazione umana e professionale - ha detto Ingroia - da parte di uno degli esponenti più importanti di un movimento politico, Alfonso Bonafede, che ha avuto Di Matteo come sua bandiera, fintanto che era un movimento di opposizione e che ha ammainato le bandiere nel momento in cui è entrato nelle stanze del potere”.
Su questa vicenda l’avvocato ha affermato che “ci sono tutti gli elementi, come ho dichiarato in una precedente intervista, perché una procura della repubblica apra un'inchiesta per accertare esattamente per quale motivo nell’arco di dodici ore, dalla sera alla mattina, Nino Di Matteo è stato sostanzialmente rimosso, anche se non era stato formalmente nominato, con il ritiro della proposta del ministro Bonafede. L’unica spiegazione razionale in questa vicenda - ha ribadito - è che si sia attivato un circuito che ha avuto quell’esito attraverso pressioni istituzionali”. Ad ogni modo, “quel che è certo è che il carcere è uno snodo fondamentale per i mafiosi. Per il carcere hanno fatto trattative e nel ’93 hanno ottenuto risultato con le scarcerazioni. Io escludo inoltre che la mafia abbia rinunciato alle sue trattative, quindi c’è qualcosa che si sta muovendo. Anche su questo fronte”. Nel corso della sua intervista Antonio Ingroia ha sollevato perplessità anche sulla gestione delle scarcerazioni per i rischi di contagio da Coronavirus. “Ci sono svariate migliaia di detenuti comuni che vivono in condizioni disastrose in carceri sovraffollate che sono rimasti in carcere e sono esposti al coronavirus. Questo è un dato che mi lascia perplesso. Si dice che in carcere c’è un maggiore rischio contagio ma i primi ad essere scarcerati sono proprio i mafiosi, e molti di questi condannati in via definitiva? Perchè non si è iniziato dagli altri detenuti?”.
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