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di AMDuemila
Depositate le motivazioni di sentenza sull’inammissibilità del ricorso presentato dalla procura Generale di Napoli

“Il boss dei due mondi”, Cosimo Commisso, non era al vertice del clan di Siderno. Si può riassumere così la decisione della Cassazione che lo scorso 28 gennaio ha confermato la sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Napoli per il boss calabrese Commisso (detto “U quagghia”) con la formula, “per non aver commesso il fatto”, in riferimento all’accusa di mandante di cinque omicidi e tre tentati omicidi commessi tra il maggio dell’89 e il luglio del ’91nell’ambito della Faida di Siderno. “La corte napoletana ha proceduto proprio a una valutazione, al tempo stesso specifica e complessiva, di tutte le prove: quelle già acquisite, consacrate nel giudicato penale, e le nuove, saggiando la resistenza rispetto a queste ultime delle prove a suo tempo poste a fondamento della pronuncia di condanna. E invero - si legge ancora - la motivazione del giudice di appello appare affatto carente o contraddittoria, né viziata da manifesta illogicità, concretizzandosi, piuttosto, in un approfondito percorso argomentativo, articolatosi attraverso una serie di passaggi, logicamente coerenti, che conducono a smentire il fulcro dell’assunto accusatorio, rappresentato dalla affermata qualità di 'capo clan' in capo al Commisso Cosimo”. Con questo verdetto i giudici ermellini hanno quindi motivato le ragioni dell’inammissibilità del ricorso presentato dalla procura Generale di Napoli. La Corte d’Appello di Napoli, nel gennaio dello scorso anno, aveva accolto l’istanza di revisione di processo presentata dai legali di Commisso e aveva revocato la sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria datata 24 luglio ’98, divenuta irrevocabile nel mese di maggio dell’anno seguente, nella quale i giudici avevano ritenuto colpevole “U quagghia” di 8 fatti delittuosi perché considerato “persona collocata in posizione verticistica della gerarchia mafiosa del clan (di Siderno, ndr). Giudizio, questo, totalmente ribaltato dalla Corte d’Appello napoletana, prima, e dalla Cassazione, poi. “Nel corso delle intercettazioni - scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza depositate giorni fa - riportate nella sentenza 'Crimine', presso i locali della lavanderia “Apegreen”, ubicata in Siderno e gestita da Commisso Giuseppe, di fondamentale importanza per ricostruire la struttura organizzativa dell’associazione a delinquere di stampo mafioso calabrese, quest’ultimo, fonte autorevole per il suo elevato spessore criminale, rivelava di essere capo del sodalizio di Siderno a partire dal 1991, anno in cui si erano verificati, tra aprile e luglio, la maggior parte degli omicidi attribuiti alla decisione del Commisso Cosimo, chiarendo che dopo la morte di Domenico Baggetta, capo del 'clan' sino alla sua uccisione, avvenuta nel dicembre 1988, i Commisso avevano deciso di non procedere a 'formalizzare' la nomina di un nuovo 'capoclan', secondo una precisa scelta strategica, che voleva evitare di esporre il nuovo vertice a eventuali attentati da parte del gruppo contrapposto dei Costa”.

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