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di AMDuemila - Video
I boss avevano messo le mani sui fondi della Comunità Europea all’agricoltura
Giuseppe Antoci: “L’operazione evidenzia perché la mafia voleva fermarmi con quell’attentato

194 indagati, 94 arresti, di cui 48 in carcere, 600 militari impiegati, 150 imprese sequestrate e 30 mila pagine di atti giudiziari analizzate dal gip di Messina Sergio Mastroeni che ha emesso l'ordinanza. Sono questi i numeri impressionanti della maxi operazioni dei Carabinieri del Ros e della Guardia di Finanza scattata all’alba nella provincia messinese. L’operazione, condotta dal procuratore Capo di Messina Maurizio De Lucia, ha inferto un durissimo colpo alle organizzazioni criminali della provincia, tanto che si parla del blitz più grande messo a segno contro la mafia dei Nebrodi, decapitando i clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, i clan storici di Tortorici, paese dei Nebrodi. Tra gli uomini finiti dietro le sbarre vi sono soggetti di primo rilievo delle famiglie mafiose dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, gregari, estortori e "colonnelli" dei due clan storici dei Nebrodi. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa aggravata, intestazione fittizia di beni, estorsione, traffico di droga. L’indagine è stata condotta dai militari del Comando provinciale dei Carabinieri del Ros di Messina e del Comando Tutela Agroalimentare e dei Finanzieri del Comando provinciale di Messina.

Le mani sui fondi europei all’agricoltura
I clan messinesi, come emerso dalle indagini, avevano puntato i suoi fondi della Comunità Europea dai quali si sono intascati indebitamente oltre 5,5 milioni di euro, compiendo centinaia di truffe all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'ente che eroga i finanziamenti stanziati dall'Ue ai produttori agricoli. L’affare è stato fiutato dai clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, che, anche grazie all'aiuto di un notaio compiacente e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l'accesso ai contributi europei per l'agricoltura, hanno incassato grandi quantità di denaro. Le due famiglie mafiose hanno sotterrato l’ascia di guerra, anche se gli inquirenti non escludono che possa essere disotterrata per “fare piazza pulita del concorrente", mettendosi d’accordo all’insegna dell’ingente profitto comune. Spartendosi virtualmente gli appezzamenti di terreno, in larghissime aree della Sicilia ed anche al di fuori dalla regione, necessari per le richieste di sovvenzioni. Ciò ha causato, riporta il gip, un “gravissimo inquinamento dell'economia legale” nonché “la privazione di ingenti risorse pubbliche per gli operatori onesti". La truffa consisteva nell’individuazione di terreni "liberi”, intesi quelli per i quali non erano state presentate domande di contributi. Gli appezzamenti utili spesso erano segnalati dai dipendenti dei CCA che avevano accesso alle banche dati mentre la disponibilità dei terreni da indicare era ottenuta o imponendo ai proprietari reali di stipulare falsi contratti di affitto con prestanomi o attraverso atti notarili falsi. Sulla base della finta disponibilità delle particelle veniva quindi istruita da funzionari complici la pratica per richiedere le somme che poi venivano accreditate al richiedente prestanome dei boss spesso su conti esteri. "La percezione fraudolenta delle somme - scrive il gip - era possibile grazie all'apporto compiacente di colletti bianchi, collaboratori dell'A.G.E.A., un notaio, responsabili dei centri C.A.A., che avevano il know-how necessario per procurare l'infiltrazione della criminalità mafiosa nei gangli vitali di tali meccanismi di erogazione di spesa pubblica e che conoscevano i limiti del sistema dei controlli".

La struttura
I personaggi di spicco dell'indagine sono, per i batanesi, Sebastiano Bontempo detto il guappo, Giordano Galati detto "Lupin", Sebastiano Bontempo, "il biondino" e Sebastiano Mica Conti. Tutti hanno scontato condanne pesantissime per mafia, mentre Sebastiano Mica Conti è finito in cella anche per omicidio. Dopo aver espiato le pene, sono stati scarcerati e sono tornati a guidare il timone del clan. I vertici della "famiglia" dei Bontempo Scavo coinvolti sono: Aurelio Salvatore Faranda e i fratelli Massimo Giuseppe e Gaetano. Le cosche tortoriciane dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, disarticolate dall'inchiesta, risulta inoltre avessero rapporti anche con Cosa nostra palermitana, con le "famiglie" catanesi e con esponenti mafiosi di Enna e Catenanuova.

operazione nebrodi 2

In manette sindaco e insospettabile notaio
Tra i 94 arrestati nell’operazione di stamane c’è anche il sindaco di Tortorici, piccolo comune del messinese. La Guardia di Finanza di Messina ha arrestato Emanuele Galati Sardo, 39 anni, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa, Galati Sardo era considerato "a disposizione dell'organizzazione mafiosa per la commissione di una serie di truffe" e "aveva rapporti diretti con il boss Aurelio Faranda", dicono gli investigatori delle Fiamme gialle. Il trentanovenne Emanuele Galati Sardo era stato eletto lo scorso aprile supportato dalla lista ''Uniti per cambiare Tortorici'' totalizzando 1460 voti. Insieme a lui è finito in manette anche un insospettabile notaio, Antonino Pecoraro, anche lui accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti avrebbe compilato falsi atti per far risultare acquisiti per usucapione una serie di terreni per poi chiedere i contributi Ue. Tra i 46 finiti ai domiciliari, ci sono anche una decina di dipendenti dei Centri di assistenza agricola.

Le risultanze degli inquirenti

L’organizzazione mafiosa sgominata stamane, fanno notare gli inquirenti, “dimostra di avere una fisionomia modernissima e dinamica, decisamente lontana dallo stereotipo della ’mafia dei pascoli’”. Una organizzazione che "muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa (e, quindi, difficilmente permeabili al fenomeno delle collaborazioni con la giustizia), mira all'accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell'economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari - praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico - presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti”. Dalle indagini è inoltre emerso il quadro “di un'associazione mafiosa estremamente attiva, osservante delle regole e dei canoni dell'ortodossia mafiosa, in posizione egemone nell'area nebroidea della provincia di Messina ma capace, al tempo stesso, di rapportarsi - nel corso di riunioni tra gli affiliati - con le articolazioni territoriali mafiose Catania, Enna e finanche del mandamento delle Madonie di cosa nostra palermitana", dicono ancora gli investigatori. La rete di connessioni costruita dai clan aveva creato un “territorio ostile ed ermetico” che ha reso difficile il lavoro degli inquirenti. "Basti pensare che uno dei membri più attivi della famiglia mafiosa batanese è stato interpellato da un funzionario della Regione Siciliana, in relazione a furti e danneggiamenti di un mezzo meccanico dell'amministrazione regionale, impiegato nell'esecuzione di taluni lavori in area territoriale diversa dal comprensorio di Tortorici". "Ciò a riprova - aggiungono gli investigatori - di un forte radicamento della famiglia tortoriciana anche in zone distanti dai territori di origine". Infine tra gli elementi di novità raccolti dall'indagine si delinea "in maniera significativa un profilo di carattere internazionale degli illeciti, commessi nell'interesse delle associazioni mafiose". "In alcuni casi, infatti, le somme provento delle truffe sono state ricevute dai beneficiari su conti correnti aperti presso istituti di credito attivi all'estero e, poi, fatte rientrare in Italia attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a fare perdere le tracce del denaro", dicono gli investigatori.

Protocollo Antoci in contrasto con interessi dei boss
I magistrati in conferenza stampa hanno affermato che dalle investigazioni “emerge un contesto di significazione probatoria e chiavi di lettura dell'attentato Antoci che si è posto in contrasto con gli interessi della Mafia". I reati contestati ruotano difatti attorno al lucroso affare dei Fondi Europei per l'Agricoltura in mano alle mafie combattuto con forza con il cosiddetto "Protocollo Antoci" ideato e voluto dall'ex Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, scampato ad un agguato di mafia grazie al pronto intervento degli uomini della sua scorta nel maggio di tre anni fa, e dal 27 settembre 2017 Legge dello Stato. Proprio Antoci ha voluto commentare qualche ora fa la maxi operazione di stamane, ringraziando il Procuratore Maurizio De Lucia e i suoi Sostituti, i Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Messina e alla Guardia di Finanza di Messina. “L’operazione di oggi - ha affermato Antoci - evidenzia in modo chiaro il contesto in cui ci siamo mossi in questi anni mettendo in luce le motivazioni per le quali la mafia, attraverso quel terribile attentato, voleva fermarmi. Nonostante la consapevolezza che, con questa ulteriore ed imponente operazione, l'odio e il rancore contro di me cresceranno ancora di più, è comunque tanta la felicità che provo oggi nel vedere che il nostro lavoro serva al Paese e alla lotta alla mafia’’. In riferimento al protocollo che prende il suo nome Antoci ha detto che “se ho potuto completare il lavoro del Protocollo e poi della Legge lo devo a quei coraggiosi operatori della Polizia di Stato, gli uomini della mia scorta, che quella notte mi hanno salvato la vita. La mafia, come ulteriormente certifica questa importante operazione, voleva fermare tutto questo uccidendomi, ma loro, quella notte, con coraggio e sprezzo del pericolo, rischiando la loro vita, lo hanno impedito. Lo Stato ha vinto, se ne facciano una ragione mafiosi e mascariatori. Abbiamo colpito con un Protocollo, oggi Legge dello Stato, e con un'azione senza precedenti, la mafia dei terreni - aggiunge Antoci - ricca, potente e violenta, pur rischiando la vita e perdendo la libertà mia e della mia famiglia. E' una vita difficile e complicata, ma giornate come questa danno l'assoluta certezza che ne vale la pena. Sì, lo Stato ha vinto e oggi ancora di più'', ha concluso Antoci.

Fonte: ANSA

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