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di Lorenzo Baldo
La Corte si riserva di decidere sulla revoca dei domiciliari per Francesco Mazzega

Condanna confermata. E non era affatto scontato. Sei ore di camera di consiglio per arrivare ad una decisione che in parte restituisce giustizia ad una vittima di femminicidio. Per i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Trieste, presidente Igor Maria Rifiorati (a latere Mimma Grisafi e i sei componenti della giuria popolare), Francesco Mazzega – killer reo-confesso di Nadia Orlando la 21enne di Vidulis di Dignano (Ud), uccisa il 31 luglio 2017 – deve essere condannato a 30 anni di reclusione, con l’aggiunta di ulteriori 3 anni di libertà vigilata. La scelta dell’imputato del rito abbreviato si traduce però in uno sconto di pena a dir poco paradossale vista l’entità del crimine commesso.
“Questo era il minimo che dovevamo a Nadia”, le parole di Antonella Zuccolo, madre della 21enne assassinata, racchiudono tutto il dolore per una ferita che mai potrà essere sanata.

Le richieste
Durante le repliche delle parti, l’Avvocato generale della Corte d'Appello di Trieste, Federico Prato, aveva chiesto il trasferimento in carcere dello stesso Mazzega, attualmente agli arresti domiciliari. Secondo la sua ricostruzione sussiste un’ipotesi molto probabile: più ci si avvicina alla sentenza definitiva, più si concretizza il pericolo di fuga dell'imputato. Per rafforzare la sua tesi Prato aveva richiamato la giurisprudenza che si era pronunciata in tal senso, facendo così valere una delle ragioni per cui si applica la custodia cautelare. La Corte si è però riservata cinque giorni di tempo per decidere in merito a questa richiesta di aggravamento della misura cautelare nei confronti dell’imputato.
La conferma della condanna in primo grado a 30 anni era stata chiesta dall'Accusa e dalle Parti civili.
Durante le dichiarazioni spontanee Mazzega si è scusato e detto dispiaciuto per quello che ha commesso, senza però spiegare fino in fondo cosa sia effettivamente avvenuto la sera del 31 luglio 2017. I suoi legali avevano chiesto l'applicazione delle attenuanti generiche citando casi in cui l’assassino aveva ricevuto una pena inferiore ai 20 anni. Ma la Corte è stata di tutt’altro avviso.

Il paradosso degli arresti domiciliari
Francesco Mazzega si trova effettivamente agli arresti domiciliari presso l’abitazione dei suoi genitori, a Muzzana del Turgnano (Ud), in attesa della sentenza della Cassazione. Non va dimenticato che dopo aver ucciso Nadia, e dopo essersi consegnato alla Polstrada di Palmanova (Ud), Mazzega era finito nel carcere di Udine. Dopo un primo trasferimento di qualche giorno al reparto psichiatrico dell’ospedale locale, piantonato 24 ore su 24 per il rischio che potesse compiere gesti estremi, era quindi tornato in carcere. Ma dopo appena un mese il Tribunale del Riesame di Trieste gli aveva concesso la scarcerazione in attesa del processo, nonostante il ricorso della procura di Udine e gli appelli della famiglia della vittima.
Mazzega, cui il Riesame ha riconosciuto una “pericolosità sociale elevata e del tutto priva di freni inibitori”, era stato descritto come un uomo che vive i rapporti sentimentali “posseduto da un senso patologico di gelosia”. L’omicidio di Nadia per i giudici triestini era un evento “previsto e pienamente accettato” dal killer re-confesso. Ciò nonostante la concessione dei domiciliari nei suoi confronti veniva ritenuta una misura “idonea a tutelare adeguatamente la collettività”.
Quindi, nonostante la “personalità allarmante” e la “pericolosità sociale elevata” riscontrate dall’omicidio compiuto a Vidulis di Dignano, Francesco Mazzega veniva definito “un soggetto incensurato, ben inserito nella società e con un lavoro stabile, che finora ha tenuto una condotta irreprensibile e ha avuto condizioni di vita individuale, familiare e sociale buone”. Parole che si commentano da sole.
La Cassazione aveva successivamente confermato i domiciliari a casa dei suoi genitori, con il braccialetto elettronico. I giudici avevano ritenuto Mazzega non pericoloso specificando infine che secondo il loro giudizio non vi sarebbe stato il rischio di reiterazione del reato.

Carta canta

A dir poco agghiaccianti restano i dati su quello che a tutti gli effetti è un crimine tra i più odiosi: il femminicidio. Ogni settimana tre donne vengono uccise: 142 femminicidi solo nel 2018. Il rapporto Eures dello scorso anno parla chiaro: uno in più rispetto al 2017, non si è mai avuto una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%). Nel 32,8% dei casi il movente dichiarato sono “gelosia e possesso” e sono esattamente 119 (85,1%) le donne che vengono uccise in famiglia. Anche nel 2018 la percentuale più alta dei femminicidi familiari viene commessa all’interno della coppia, con 78 vittime pari al 65,6% del totale (+16,4% rispetto alle 67 del 2017): in 59 casi (pari al 75,6%) si è trattato di coppie “unite” (46 tra coniugi o conviventi), mentre 19 vittime (il 24,4% di quelle familiari) sono state ammazzate da un ex partner. Ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza. E i carnefici sono, nel 74%, cittadini italiani.

Diventare Uomini
Lo scorso 13 novembre, a Udine, in occasione dell’evento organizzato dall’Andos “La solidarietà con il cuore dei cori”, l’attrice Annalisa Insardà ha recitato un monologo sul femminicidio in memoria di Nadia Orlando e di tutte le vittime dal titolo eloquente “Ero mia”. Con grande pathos e con la sensibilità che contraddistingue questa bravissima attrice, ha saputo toccare le corde più profonde di tutti i presenti, letteralmente rapiti dalla sua voce. “Mi vergogno per chi non accoglie le denunce nei tribunali – ha esordito Annalisa –. Mi vergogno per quello Stato che dopo anche una sola denuncia non azzera la voglia di supremazia casalinga di quei poveracci leoni in casa e pecore prone nella società in cui far carriera. Miserabili…”. “Io mi vergogno per voi – ha proseguito la Insardà –. Per voi. Con grande forza. Con grande foga. E con grande determinazione. E sappiate che farei questa lotta anche se tutto questo non fosse successo a me, perché le lotte non si fanno solo per far valere i propri diritti. Non esistono diritti che ci riguardano e altri no. Esistono diritti e basta. Quindi basta chiacchiere. È ora di diventare Uomini. È ora che finalmente impariate che il vostro primo pensiero la mattina quando vi svegliate deve essere che far valere i miei diritti di donna, è un vostro preciso dovere”. Per Nadia, Michela e tutte le altre vittime innocenti. Affinché al più presto quell’elenco di nomi di vite spezzate smetta di aumentare.

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