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di AMDuemila
"Sono indignato, queste accuse sono assurde. Dopo le mie denunce, e il mio lavoro per cacciare il malaffare che per anni ha rubato decine di milioni di Euro per l’informatica in Sicilia, l’assurdo è che l’unica persona che viene accusata è il sottoscritto, e cioè l’unico che ha bloccato lo sperpero di denaro pubblico. Ma io credo nella giustizia, e ho fiducia che alla fine la verità verrà fuori”. Con queste parole l’ex pm Antonio Ingroia, oggi avvocato, commenta su Facebook la richiesta di condanna a 4 anni avanzata dalla Procura di Palermo al processo che si celebra col rito abbreviato, davanti al Gup Maria Cristina Sala, per peculato. "Tanto per chiarire - prosegue Ingroia - Io vengo nominato liquidatore di Sicilia e-Servizi nel 2013 dall’allora Presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, per mettere ordine nella società, un ‘carrozzone’ costituito da Totò Cuffaro e successivamente ‘alimentato’ da Raffaele Lombardo, due presidenti della Regione poi condannati per collusioni con la mafia. Appena mi insedio, licenzio i mafiosi e parenti dei mafiosi che erano stati illegittimamente assunti prima di me e metto alla porta gli speculatori che per anni si erano ingrassati a spese della Società, della Regione e dei siciliani. Denuncio alla Procura di Palermo e all’OLAF di Bruxelles i ‘ladri’ e riduco drasticamente i costi della Società, da 80-50 milioni di euro l’anno a un bilancio di 7 milioni di euro l’anno. Le mie denunce restano però lettera morta, insabbiate dalla Procura di Palermo, che invece apre poi un’indagine su di me, con due accuse, entrambe di peculato: una per l’indennità di risultato di 117.000 euro lordi erogatami nel 2014, che secondo la Procura io mi sarei “autoliquidato” illegittimamente; e un’altra per le spese di soggiorno, che secondo la Procura non mi erano dovute".
E poi ancora: "Sulla prima accusa, la Procura già ha dovuto correggere il tiro: dopo avermi contestato di aver incassato indennità di risultato non dovute per tutti gli anni, ha poi tenuto in piedi solo l’accusa per il 2014 archiviando quelle per gli anni successivi. Mi si contesta che non mi fosse dovuta la sola indennità relativa al 2013, e pagata nel 2014, in quanto nel 2013 ero stato in carica soltanto come liquidatore e non come amministratore della società (come invece negli anni successivi). Ma invece anche quella indennità mi spettava per il semplice fatto che, fin dall’inizio del mio incarico di liquidatore, io ho svolto di fatto anche le funzioni di amministratore unico, essendomi subito reso conto che la società era indispensabile per i servizi essenziali che alla Regione doveva prestare e quindi non poteva essere sciolta. Quanto alle spese, la svista della Procura è ancora più grave, visto che mi si contestano rimborsi per i soggiorni a Palermo che invece erano previsti dalla legge. E infatti nulla è stato contestato al mio predecessore, che, tra l’altro, pur risiedendo a Catania e non a Roma come me, ha speso in un anno molto più di me. Ma il pm evidentemente considera illegittimo per me quello che invece considera legittimo per il mio predecessore. E non è tutto, perché si sconfina nel ridicolo quando lo stesso pm arriva a sostenere che, per rimanere indenne dalle spese di soggiorno, io avrei dovuto ogni mattina prendere l’aereo da Roma a Palermo per recarmi sul posto di lavoro, e poi a fine giornata prendere l’aereo da Palermo a Roma, con intuitivo assai maggiore aggravio per le spese della Regione". Infine ha concluso: "Ho svolto il ruolo di amministratore conseguendo risultati straordinari, così come è stato espressamente riconosciuto dal Collegio Sindacale e dall’Assemblea dei Soci (e quindi dal Socio Regione) nei rispettivi verbali e relazioni, e mi ritrovo a processo. Un processo surreale nel quale mi difenderò con la forza dei fatti. E sono certo che i fatti mi daranno ragione".

Foto © Imagoconomica

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