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terra di nessuno alberto di buonodi Carmine Donatelli - Intervista
La Campania continua a bruciare sistematicamente sotto l’occhio impotente di chi dovrebbe intervenire. La Terra dei Fuochi, però, non è qualcosa di circoscritto, ma oramai è un problema diffuso a macchia di leopardo in tutto il Paese. Ne abbiamo parlato con l’ingegnere ambientale Alberto Di Buono che ha da poco pubblicato un romanzo ambientale, “Terra di Nessuno” (Graus Edizioni)

Ingegnere, la Campania brucia con geometrica precisione. Non c’è provincia che non annoti incendi a terreni, discariche, luoghi di compostaggio o fabbriche. Sembra che tutto venga coordinato da un’unica regia?
Federico Manfredi, il protagonista del mio ultimo libro, usa spesso ripetere “il caso non esiste”, frase che prendo in prestito per rispondere alla sua domanda. È evidente che la “geometrica precisione”, a cui lei fa rifermento, non può essere il risultato di fenomeni casuali. Chi incendia i rifiuti, i boschi o le aziende, lo fa quasi sempre per interesse, così come è accaduto in Amazzonia, o in Sardegna questa estate, o a Sarno appena pochi giorni fa. Se tutto sia coordinato da un’unica regia è difficile stabilirlo. Personalmente ipotizzo che almeno nella nostra regione ci siano più regie, ciascuna col suo territorio di competenza, che perseguono gli stessi interessi illeciti, utilizzando le medesime strategie.

Terra dei Fuochi, lei da tantissimi anni è impegnato su questo fronte qual è la reale situazione attuale?
Mi occupo di ambiente dal 1992, quando ancora la gente mi chiedeva che cosa facesse praticamente un ingegnere ambientale. Credo di essere stato uno dei primi a parlare pubblicamente di diossina e a partecipare ai primi movimenti ambientalisti sul nostro territorio. Con molta tristezza devo ammettere che rispetto ad allora la situazione è notevolmente peggiorata. Ho potuto constatare che il numero di interventi ambientali concreti messi in atto è sempre stato inversamente proporzionali alla quantità di belle parole pronunciate da chi dovrebbe parlare di meno e agire di più. Questa estate, in particolare, è stata una delle più difficile degli ultimi anni dal punto di vista dei roghi tossici. La cosa che fa più male è il percepire quotidianamente un crescente e pericoloso senso di abbandono da parte delle istituzioni. Non sarebbe difficile combattere questo fenomeno, anche con l’aiuto delle nuove tecnologie, perché i roghi si ripetono quasi con sistematicità, sia logistica che temporale. Eppure ciò che si fa in tal senso è davvero poco e la mancanza di risultati è sotto gli occhi di tutti. Questo territorio sembra vivere una sorta di anarchia ambientale, dove a ognuno è consentito fare ciò che vuole. Una situazione consolidata ormai da anni, che nessuno sembra riuscire nemmeno a scalfire. La cosa appare così anomala da un punto di vista logico che mi verrebbe da ribaltare la sua domanda chiedendomi se questa sistematica mancanza di controlli sia casuale o ci sia una precisa volontà.

Veramente tutti i suoli sono contaminati? Perché, soprattutto, sui social network, assistiamo ad uno scontro storico tra opposte fazioni, cioè tra coloro che sostengono che terreni, falde acquifere, prodotti dell’agricoltura e catena alimentare sono inquinati irreversibilmente e chi, invece, afferma che l’inquinamento esiste ma è circoscritto. Noi crediamo che non ci sia peggiore disinformazione che l’innesco del dubbio. Cosa ci dice in merito?
Bisogna distinguere “l’inquinamento reale” dalla “percezione di inquinamento”. Il primo si evince da valutazioni tecniche effettuate sulla base di dati scientifici oggettivi da parte dei competenti addetti ai lavori. La seconda, invece, è soggettiva e dipende da come ciascuno di noi percepisce le quotidiane sollecitazioni esterne dovute alla presenza di cumuli di rifiuti o al doversi barricare in casa a causa dei roghi. Come la microcriminalità penalizza molto più la qualità della vita rispetto alla criminalità organizzata, così la percezione dell’inquinamento indirizza l’opinione pubblica molto più efficacemente dei dati scientifici reali.

Ci spieghi.
Le alterazioni degli equilibri naturali ormai sono certezze che non ci riguardano solo a livello locale, ma globale. Il nostro territorio ha una serie di evidenti problematiche che non possono essere risolte semplicemente nascondendo o manipolando le informazioni. L’incremento di mortalità dovuto a malattie collegate all’inquinamento è un dato di fatto verificabile direttamente dalle nostre personali esperienze, a prescindere dalle rassicurazioni ufficiali che ci vengono fornite. Tuttavia, la mia esperienza professionale mi dice che non si può fare di tutta l’erba un sol fascio. È vero che ci sono tanti siti contaminati, molti dei quali censiti da anni e mai bonificati dalla Regione Campania, ma ho potuto verificare direttamente che vaste aree di territorio non presentano particolari problemi. Le attività agricole che lì si svolgono, che sono da sempre la struttura portante delle economie locali, vengono sistematicamente penalizzate dal catastrofismo, spesso strumentale, a vantaggio di altri territori che di fatto non sono messi meglio dei nostri. Le attività sane andrebbe invece tutelate, incoraggiate e sostenute. Non dimentichiamo che oggi il settore agro alimentare è quello maggiormente controllato da un punto di vista igienico sanitario. Il catastrofismo però fa notizia, dà visibilità a chi lo cavalca e crea opportunità politiche. Viene perciò fomentato da tutti quelli che traggono vantaggio da queste situazioni, non dimentichiamo che ogni emergenza porta sempre tante risorse straordinarie che possono essere gestite in modo straordinario.

Lei intitola il suo romanzo “Terra di Nessuno”, probabilmente perché realmente a nessuno interessa risolvere il problema ambientale in Campania?di buono alberto
Terra di nessuno è una terra abbandonata a se stessa, dove non ci sono regole né controlli e ognuno si sente autorizzato a fare quello che vuole. Una terra diventa “di nessuno” quando perde la sua identità per la mancanza di senso di appartenenza. Questa è la tristissima sensazione che sempre più spesso si prova dalle nostre parti. È nostro dovere primario ristabilire questo legame, rimboccandoci le maniche e facendo la nostra parte senza dare sempre e solo la colpa agli altri. Se ognuno di noi avesse un piccolo orticello, sono sicuro che si preoccuperebbe di recintarlo, di coltivarlo al meglio, difendendolo da chi se ne vuole appropriare per farne un uso improprio. Impiegheremmo tutte le nostre forze in tal senso e, se alla fine avremmo fallito, ci sentiremmo comunque sereni per aver fatto tutto il possibile. E allora mi chiedo: Siamo davvero sicuri di aver fatto tutto il possibile per la nostra Terra? Solo cercando la risposta nel profondo della nostra coscienza potremo capire fino a che punto questa è “Terra di nessuno”.

Nel racconto emerge la storia d’amore tra Federico e Gaia, si tratta anche di una metafora o di cosa?
Sì, è una metafora che costituisce il filo conduttore del racconto. Gaia rappresenta la Terra e Federico se ne innamora così come ciascun uomo dovrebbe fare. C’è anche un’altra metafora importante, la voce di Oikos, che Federico avverte, è contemporaneamente la voce della sua coscienza e quella di Madre Terra. Ciò sta a significare che noi non siamo avulsi dalla Natura, ma le apparteniamo intimamente. Oikos utilizza anche un linguaggio molto singolare, una sorta di napoletano italianizzato tipico delle nostre zone, perché immagino che questo sia il linguaggio che utilizzerebbe la nostra Terra se davvero potesse parlare.

Nella nota introduttiva del testo, ci ha particolarmente colpito un passaggio. Ci riferiamo a quando afferma che “l’ecologia non è una materia scolastica e il suo studio non deve essere affrontato come una qualunque disciplina matematica”. Ci spieghi meglio questo passaggio.
Questa affermazione, fatta da un ingegnere, può sembrare alquanto strana, ma sono convinto che in certi ambiti i numeri non sono una condizione sufficiente e talvolta nemmeno necessaria alla comprensione di ciò che ci circonda. Ci sono due tipi di conoscenze, quella razionale e quella emozionale. La prima è immediata e inopinabile, ma anche superficiale e facilmente smarribile. La seconda è molto più complessa e tortuosa da acquisire, ma dà anche consapevolezze profonde e indelebili. L’ecologia non propone concetti scientifici nuovi rispetto ad altre discipline come la chimica, la fisica, la biologia, la statistica ecc., ma utilizza quelle nozioni per lo studio della Natura inquadrandole in una prospettiva ambientale. Ecco perché, avendo già a disposizione gli strumenti operativi, la cosa più importante e complicata è indirizzare i discenti verso questa nuova prospettiva. Se vogliamo assicurare un futuro alle nuove generazioni, bisogna proporre alla gente non delle leggi matematiche una nuova visione del mondo che implichi l’adozione di stili di vita diversi da quelli a cui siamo abituati. Tutto questo, perciò, non può venire fuori solo dal semplice ragionamento logico, ma deve essere il risultato di una presa di coscienza molto più profonda che investe direttamente il nostro animo. Tale obiettivo non può che essere perseguito attraverso la strada emozionale. Avrei potuto pubblicare molto più semplicemente un saggio di ecologia, ma sarebbe servito solo a imparare velocemente qualche concetto scientifico e magari dimenticarlo con la stessa velocità. Ho invece preferito romanzare delle lezioni di ecologia per sollecitare la sfera emozionale, affinché questi concetti, oltre ad essere “capiti”, fossero soprattutto “sentiti”.

Negli ultimi mesi sta crescendo l’audience e sembrerebbe il seguito di un movimento ecologista nato intorno alla ragazzina svedese Greta Thunberg. Secondo il suo punto di vista e la sua esperienza si tratta di un’esperienza che condurrà a dei risultati o, semplicemente, di qualcosa di fine a se stesso?
Ho grande stima e fiducia nei giovani di oggi, che sono certamente più sfortunati rispetto alle precedenti generazioni da un punto di vista ambientale. Terra di Nessuno è rivolto soprattutto a loro. Federico, il protagonista del romanzo, pur di avere un contatto quotidiano con loro lascia un lavoro certo per un incarico da precario in una scuola. I giovani sono i rami verdi di un albero, che possono essere ancora indirizzati. Guardo con molto interesse e con fiducia questi nuovi movimenti, li ritengo importantissimi in questa fase di presa di coscienza ambientale. Avverto, però, che la condizione necessaria affinché si possano conseguire risultati concreti è quella di evitare prioritariamente qualunque connotazione politica. Il colore dell’ambiente non è nero, né rosso, né verde o azzurro o arancione, ma li racchiude tutti. Etichettare un movimento così spontaneo significa contestualmente segnare anche la sua fine.

Plastic-Free. Ridurre il consumo della plastica, ma quando andiamo al supermercato certamente non è facile fare la spesa riducendone il consumo. Non corriamo il rischio di far crescere i nostri figli con il senso di colpa di essere complici di qualcosa che non sappiamo, non possiamo o non vogliamo porre rimedio?
Effettivamente se osserviamo gli scaffali di un supermercato non è facile fare una spesa “ecologica”. La plastica ha ormai invaso ogni settore, entrando addirittura nella nostra catena alimentare. Noi possiamo solo tentare di limitare i danni, cosa buona e giusta ma sicuramente non sufficiente. Occorrerebbero interventi dall’alto, a livello europeo, con una normativa in grado di limitare l’utilizzo di tale materiale, quantificando meglio e facendo pesare di più sulle aziende produttrici i costi ambientali. La plastica è il prodotto più evidente di un’economia basata sull’utilizzo di risorse non rinnovabili, opporsi ai potenti della Terra che gestiscono il petrolio è come combattere contro i mulini a vento, ma ciascuno di noi può far la sua parte. Sono soprattutto le comunità locali potrebbero fare tanto, è infatti facoltà di un sindaco bandire l’uso della plastica nei locali pubblici del suo territorio. Se tutti gli amministratori avessero il coraggio di fare queste scelte talvolta impopolari i risultati non sarebbero affatto irrilevanti, ma nella maggior parte dei casi è molto più comodo assicurarsi vantaggi elettorali non inimicandosi gli imprenditori del settore.

Uno sguardo al Paese. Le terre dei fuochi a quanto pare non sono circoscritte alla sola regione Campania. Oramai sembra consolidata l’idea che per salvaguardare l’ambiente bisogna intervenire sulle problematiche fiscali delle aziende. Cosa ci dice in merito?
Ci sono tante Terre dei Fuochi, alcune ben pubblicizzate, altre meno. Sversare illecitamente rifiuti nei territori più poveri, e quindi più facilmente “comprabili”, è una pratica non certo recente. In Italia questo ha coinciso con una migrazione verso sud di ogni genere di scoria con la complicità della malavita locale. Il fenomeno purtroppo non si limita solo alla nostra nazione e ai paesi industrializzati, ma ha una portata mondiale. I territori del terzo mondo come ad esempio quelli sub sahariani, che nell’immaginario collettivo sono sempre stati poveri ma incontaminati, si trovano invece invasi dai rifiuti industriali di ogni genere provenienti dalle nazioni ricche. La globalizzazione, nata per portare benessere ovunque uniformando le diversità, di fatto ha globalizzato solo tanti problemi come l’inquinamento e questo ha ottenuto l’effetto opposto di aumentare ulteriormente il divario tra ricchi e poveri. L’economia muove il mondo, fomenta guerre, alimenta fanatismi, ecco perché se si vuole tentare di risolvere o almeno mitigare il problema ambientale bisogna intervenire alla radice, attaccando gli aspetti economici. A livello locale proporrei però un approccio diverso rispetto al pugno duro, che storicamente si è sempre rivelato controproducente. Incentiverei le aziende ecologicamente virtuose con una defiscalizzazione proporzionata al conseguimento di prefissati obiettivi. Ma parallelamente effettuerei un controllo drastico e capillare delle realtà produttive sommerse perché, eludendo ogni controllo, sono le maggiori responsabili dello sversamento illecito dei rifiuti. Inoltre, non avendo costi di gestione, fanno una concorrenza sleale alle aziende in regola. Non effettuare questi controlli è un vero e proprio incentivo all’illegalità.

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