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di AMDuemila
Secondo i periti si tratterebbe di un detonatore artigianale difettoso munito di levetta “on-off”

Potrebbe esserci una nuova verità dietro la strage di Bologna. Il reperto rinvenuto la scorsa estate dall'esplosivista geominerario Danilo Coppe alla Caserma di Prati di Caprara, dove per anni sono rimasti i detriti della stazione di Bologna, pare essere attribuito all’interruttore che fece brillare la bomba del 2 agosto 1980. Questo e molto altro è quanto di clamoroso emerge dalle 160 pagine dell’utlima perizia, la quarta in ordine di tempo, sulla strage di Bologna, consegnata ieri, dopo due mesi di lavoro, al presidente della Corte d'Assise di Bologna, Michele Leoni che sta celebrando il processo nei confronti l'ex terrorista dei Nar, Gilberto Cavallini. Il detonatore, a differenza di quanto riscontrato dalle analisi dei precedenti periti, che ritenevano fosse di tipo chimico, sarebbe invece di tipo elettrico, e sarebbe servito per evitare l'esplosione durante il trasporto. Uno scopo che gli attentatori non sarebbero riusciti a raggiungere in quanto l’interruttore di sicurezza costruito artigianalmente, munito di levetta "on-off” (simile ad un interruttore dei tergicristalli di un'auto), posizionato su una staffa di metallo, piegata da un lato, di circa dieci centimetri di lunghezza per 3 centimetri di altezza, sarebbe, secondo la perizia, accidentalmente scattato per un difetto di fabbricazione facendo così esplodere l’ordigno.
Il congegno, si apprende, sarebbe perdipiù incompatibile non solo con qualsiasi deviatore presente nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna dove venne posizionata la valigia contenente l'ordigno ma anche con materiale appartenente alle Ferrovie. Dal lavoro dei periti e dei carabinieri del Racis di Roma emergono diverse risultanze in confronto a quelle passate, in particolare rispetto alla prima e alla terza perizia, anche per quanto riguarda la quantità e il tipo di esplosivo adoperato per l’attentato. Mentre nelle perizie Spampinato (dal nome dell'ufficiale dell'Esercito che faceva parte del collegio peritale in entrambi i casi) si parlava di rilevanti quantità di gelatinato, circa 18 chilogrammi di nitroglicerina ad uso civile, e 5 chilogrammi di cosiddetto Compound B, cioè una miscela di tritolo e T4, in quella di ieri risulterebbe che la bomba fosse costituita "essenzialmente da Tnt e T4 di sicura provenienza da scaricamento di ordigni bellici e da una quantità apprezzabile di cariche di lancio (che giustifica la presenza di nitroglicerina e degli stabilizzanti rinvenuti)” e “non si può escludere completamente la presenza di una percentuale di gelatinato a base di nitroglicerina”. Inoltre la gelatina sarebbe solo residuale derivata dalla carica da lancio del munizionamento da cui è stato ricavato, per colatura, probabilmente, l'esplosivo principale. Infine per quanto concerne la quantità di materiale esplodente non sarebbe più di 20-25 chili ma di 11.
Il reperto e i risultati della perizia, ottenuta grazie all’utilizzo di sistemi all’avanguardia assenti al tempo, potrebbe quindi smentire e in certi casi ribaltare quanto finora sostenuto dagli addetti ai lavori e fornire una nuova chiave di lettura agli investigatori e alla procura, a partire dalla presenza di diverse persone sospette che si trovavano a Bologna quel giorno. Cominciando, ad esempio, da coloro che, secondo la Stasi, l’ex Servizio segreto della Repubblica Democratica tedesca, erano terroristi del gruppo dinamitardo di Carlos Lo Sciacallo, Thomas Kram e Christa Margot Frolich. Quest’ultima, tral’altro, venne arrestata all’aeroporto di Fiumicino meno di due anni dopo la strage che portò alla morte di 85 persone e al ferimento di altre 200, perchè trasportava con se una valigetta contenente, all'interno di un doppiofondo, tre chilogrammi e mezzo di miccia gommata verde, composta da Pentrite prodotta nei Paesi del Patto di Varsavia, oltre a un timer, una sveglietta a batteria marca Emes dalla quale fuoriuscivano due fili elettrici, due detonatori elettrici in alluminio e un oggetto, una staffa semicurva con un interruttore identico a quello trovato a Prati di Caprara dal perito Danilo Coppe. Questi ultimi hanno anche messo in relazione la strage di Bologna a due attentati compiuti da Carlos nell’oltralpe, in Francia, in particolare quello di Saint Charles del 31 dicembre 1983.
Altre circostanze simili a quelle riscontrate nell’ambito della bomba detonata alla stazione di Bologna sono quelle risalenti al 2 settembre del 1970 quando Maria Elena Angeloni, zia acquisita di Carlo Giuliani, il manifestante morto negli scontri seguiti al G8 di Genova, assieme all'amico e compagno cipriota Giorgio Christou Tsikouris, sono saltati in aria ad Atene mentre si trovavano dentro una Volkswagen blu intenti a preparare un’attentato dinamitardo all’ambasciata USA del Paese. Secondo il racconto del capo brigatista Alberto Franceschini, la donna era stata incaricata a compiere l’atto terroristico da Corrado Simioni che, assieme a Renato Curcio, aveva appena fondato le Brigate Rosse e che, inizialmente aveva pensato a Mara Cagol. In quel caso l'attentato prevedeva che il congegno esplosivo sarebbe stato attivato proprio dall'azionamento dell'interruttore del tergicristallo dell'auto. Ma, anche in quel caso, il congegno era stato studiato male. E i due terroristi saltarono in aria. Sulla nuova perizia però Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna, ha sollevato non pochi dubbi. ”Mi sembra una perizia estremamente ipotetica, che mette lì alcune cose e fa molte ipotesi - ha commentato a Adnkronos - si parla di un oggetto, dicendo che potrebbe essere un interruttore, ma piuttosto delle ipotesi la cosa importante di questa perizia semmai è che conferma che l'esplosivo era militare. Teniamo conto - ha sottolineato - che c'è un'indagine sui mandanti della strage, e quella è vera, non è ipotetica, e tutto fa brodo per confondere le idee".

Foto © Adnkronos

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