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uomo incappucciatodi Piero Innocenti
Se negli anni passati ci fosse stata una maggiore attenzione da parte degli organismi di polizia sul territorio, si sarebbe potuta evitare l’avanzata della criminalità nigeriana e la sua evoluzione in associazioni mafiose? La domanda non è peregrina ma andrebbe approfondito se le forze di polizia avevano le capacità professionali ed operative adeguate per investigare su contesti criminali molto difficili da penetrare.

Qualche risultato, in realtà, lo si è avuto in passato e anche di recente con il fermo di ventuno nigeriani, avvenuto il 20 novembre scorso, da parte della polizia di stato di Cagliari, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti e allo sfruttamento della prostituzione. Un gruppo criminale, si sostiene, collegato alla Supreme Eiye Confraternity. Queste “confraternite” (note anche come “gruppi cultisti”) si sono andate sviluppando in Nigeria, soprattutto all’interno delle Università, rendendosi responsabili di omicidi, intimidazioni, rapine. Fra le più note si rilevano i Bucanieri, i Vichinghi, i Black Axe (o No-Black Movement) di etnia Bini e gli Eiye (di etnia Bini o Igbo). Queste ultime due, presenti anche in Italia, sono delle vere bande criminali e la loro rivalità che li vede contrapposti in Nigeria si manifesta anche all’interno delle comunità di migranti in Italia.

Un quadro fosco già delineato, sia pure nelle linee generali, dai nostri servizi dell’intelligence e dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza (Ministero dell’Interno) che sin dal gennaio del 2005 allertava le squadre mobili di ben ventisei Questure (oltre ai Comandi Generali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza) sulla “evoluzione dei sodalizi malavitosi di quell’etnia attivi in Italia” fornendo anche alcuni precisi elementi di riferimento, da approfondire sul piano info-investigativo, nelle regioni in cui tale presenza era più rilevante e cioè in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Ne potevano scaturire accertamenti e indagini per un tentativo di neutralizzare quelle che già allora venivano segnalate come “associazioni culturali, di mutuo soccorso o religiose” ma che potevano “essere utilizzate a fini illeciti, sia perché tali associazioni veicolerebbero contestualmente istanze culturali e criminali per esercitare il controllo sulle comunità, sia per la presenza, negli organi rappresentativi, di pregiudicati nei settori del narcotraffico, della tratta di esseri umani, dello sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero”.

Dunque l’allerta diramato era abbastanza circostanziato al punto di fornire elementi informativi su alcuni soggetti criminali che cercavano di occupare segmenti rappresentativi periferici di alcune associazioni nigeriane presenti sul territorio nazionale raggruppate nella NUNAI (National Union of Nigerian Association in Italy) e nella ENAI (Edo National Association Italy). Allarme iniziale, dunque, forse sottovalutato pur considerando le innegabili difficoltà operative delle forze di polizia, consentendo a queste forme di “associazionismo” di assumere nel tempo anche quelle caratteristiche mafiose come rilevato dalle varie relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (2012) della Direzione Investigativa Antimafia (2016 e 2017), dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri (2017) dalla Commissione parlamentare Antimafia (2017). Quest’ultima, poi, citando, tra l’altro la Black Axe, ha parlato espressamente di “connotazione mafiosa dei sodalizi nigeriani”.

Così, nel panorama nazionale criminale costellato dalle varie agenzie di affari avviate in gran parte delle regioni dalle mafie storiche,dalle nuove mafie, da bande e gruppi più o meno strutturati, da clan nomadi( non meno pericolosi), i nigeriani si sono fatti largo creando un network ramificato e imponendosi con atteggiamenti fortemente intimidatori in particolare nei riguardi delle comunità di connazionali. Forse, con una maggiore qualificata attenzione investigativa e più risorse, tutto questo si poteva evitare o, quantomeno, contenere.

Tratto da: liberainformazione.org

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