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cucchi stefano sorrisodi Davide de Bari
Intercettazione shock: “Magari morisse, mortacci sua"
Il nuovo filone di indagine sull’omicidio del geometra romano Stefano Cucchi sta risalendo la gerarchia di comando per ricercare i carabinieri che avrebbero depistato le indagini nel 2015. Il pubblico ministero Giovanni Musarò ieri ha depositato oltre quattocento pagine di nuovi atti al processo bis, e si è appreso che un nuovo ufficiale, il tenente colonnello Francesco Cavallo, nel 2009 capo dell’ufficio comando del Gruppo Roma, guidato all’epoca da Alessandro Casarsa (oggi è generale e comanda i Corazzieri del Quirinale) è stato iscritto nel registro degli indagati. La nuova inchiesta, dunque, ora vede sei persone indagate per falso ideologico e materiale: cinque carabinieri (due ufficiali) e un avvocato. Nei giorni scorsi era stata aperta l'indagine nei confronti del colonnello dell’Arma, Luciano Soligo (accusato di falso in quanto all’epoca dei fatti comandava la stazione Montesaro-Talenti da cui dipendeva quella di Tor Sapienza), ed anche nei confronti del comandante della stazione, Massimiliano Colombo e del suo appuntato Francesco Di Sano, che scrisse la relazione poi modificata. Indagato anche il comandante della stazione Appia, Roberto Mandolini (già a processo per falso e calunnia) e l’avvocato Gabriele Giuseppe Di Sano.

La mail e i verbali
Dalle indagini risulterebbe che Cavallo avrebbe suggerito a Colombo, tramite una mail, allegata agli atti depositati dal pm le modifiche da apporre all’annotazione di servizio scritta da Di Sano sullo stato di salute di Cucchi una volta portato a Tor Sapienza. “Soligo mi disse che non andavano bene (Le annotazioni, ndr) - ha spiegato Colombo ai pm il 18 settembre - perché erano troppo particolareggiate e in esse venivano espresse valutazioni medico legali che non competevano ai Carabinieri”. Le annotazioni dei due militari di Tor Sapienza vengono poi inviate la mattina del 27 ottobre 2009 al tenente colonnello Cavallo. Secondo il comandante, dopo poco tempo Cavallo ha rinviato i due file modificati con un testo: “Meglio così”.
Per Colombo quella mail era un “salvavita”, in quanto prova di aver eseguito solo un ordine. Il comandante di Tor Sapienza ha anche raccontato che quelle mail dovevano essere nelle mani dei pm già nel 2015, quando gli stessi avevano delegato al Nucleo investigativo dei carabinieri ad acquisire gli atti della stazione, riaprendo così le indagini sulla morte di Cucchi. Ma questo non avvenne. Nel “novembre 2015 si presentarono i carabinieri del Nucleo investigativo. - ha raccontato il comandante - Mi resi conto di aver fornito le due annotazioni in entrambe le versioni (originale e modificata) (…) In questa occasione mostrai la mail di Cavallo (…) Il Capitano del Nucleo investigativo quando vide la mail uscì per parlare al telefono, poi rientrò, presero tutto ma non la mail”. A raccontare dei verbali che potrebbero essere stati non acquisiti o spariti è stato anche il carabinieri Francesco Tedesco, che ha anche accusato i colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro di aver colpito Cucchi con schiaffi e calci durante il fotosegnalamento. Il carabiniere ha dichiarato di aver presentato nel 2009 una relazione di servizio dove era verbalizzato il pestaggio di Cucchi, ma che “misteriosamente” sarebbe sparita e che sarebbe rimasta traccia solo in un registro. E nel 2015 anche questa non fu scoperta. Nelle molte intercettazioni, Colombo si è anche riferito alla scala gerarchica: “Se hanno indagato me allora dovranno indagare Cavallo, Casarsa, Tomasone”.

Frasi agghiaccianti su Cucchi
Ma tra i nuovi elementi emersi, depositati ieri dall’accusa nell’udienza nel processo Cucchi, vi è anche un'intercettazione tra un carabiniere ed il capoturno della centrale operativa del comando provinciale di Roma, in cui si parlava di Stefano Cucchi il giorno dopo l’arresto. "Magari morisse, li mortacci sua” avrebbe detto il carabiniere in una delle conversazioni avvenute tra le tre e le sette del mattino del 16 ottobre 2009. Gli investigatori ipotizzano che il carabiniere a cui si fa riferimento "con elevata probabilità può essere identificato" in Vincenzo Nicolardi, uno degli imputati del processo e che deve rispondere di calunnia. In un'altra telefonata, il capoturno della centrale operativa commentava sempre su Cucchi: "Mi ha chiamato Tor Sapienza. Lì c’è un detenuto dell’Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all’ospedale non può andare per fatti suoi”. E il carabiniere risponde: “È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua”.

La riunione degli “alcolisti anonimi”
Colombo ha anche parlato di una riunione al comando provinciale di Roma, alla quale avrebbero preso parte tutti i carabinieri coinvolti nella vicenda. “Hai visto gli alcolisti anonimi? (…) Così abbiam fatto” ha detto il comandante sulla riunione che sarebbe avvenuta il 30 ottobre 2009, otto giorni dopo la morte di Cucchi.
Secondo Colombo, l’incontro sarebbe stato fissato dal generale Vittorio Tomasone (non indagato). "Il 30 ottobre, la mattina ero di pattuglia con Colicchio. - ha raccontato il comandante di Tor Sapienza - Soligo mi chiama, mi chiede 'fammi subito un appunto perché poi dobbiamo andare al comando provinciale perché siamo stati tutti convocati, cioè tutti coloro dall'arresto di Cucchi, a chi lo aveva tenuto in camera di sicurezza. Tu che sei il comandate della stazione, anche se non hai fatto nulla, il comandante della compagnia Casilina, il maggiore Soligo, comandante di Montesacro, il comandante del Gruppo Roma, stavamo tutti quanti. Ci hanno convocato perché all'epoca il generale Tomasone, che era il comandante provinciale, voleva sentire tutti quanti. Abbiam fatto tipo, hai visto 'gli alcolisti anonimi' che si riuniscono intorno ad un tavolo e ognuno racconta la sua esperienza. Così abbiamo fatto noi quel giorno dove però io non ho preso parola perché non avevo fatto nessun atto e non avevo fatto nulla”. E sempre sulla riunione ha aggiunto: "Ognuno a turno si alzava in piede e parlava spiegando il ruolo che aveva avuto nella vicenda Cucchi. Ricordo che uno dei carabinieri di Appia, che aveva partecipato all'arresto, aveva un eloquio poco fluido, non era molto chiaro. Un paio di volte intervenne il maresciallo Mandolini per integrare cosa stava dicendo e per spiegare meglio, come se fosse un interprete. Ad un certo punto Tomasone zittì Mandolini dicendogli che il carabiniere doveva esprimersi con le sue parole perché se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato con un magistrato".

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