di Antonella Beccaria
Nuovo telegramma di Pazienza: "Ho inviato alla Corte un voluminoso plico documentale"
Francesco Pazienza insiste. Mentre si ha conferma che le macerie della stazione di Bologna distrutta dalla bomba esplosa il 2 agosto 1980 giacciono alle intemperie nel piazzale della caserma San Felice di via Prati di Caprara, l’udienza del 6 giugno ha visto la comparsa di un nuovo telegramma. Come il primo, giunto il 29 maggio scorso, anche del secondo ne dà lettura dopo la pausa il presidente della Corte d’Assise, Michele Leoni, che deve giudicare l’ex Nar Gilberto Cavallini, accusato di concorso in strage. “Inviato voluminoso plico documentale sperando sia decisivo per convincimento mia audizione. Con osservanza”. La firma è sempre quella dell’ex consulente del direttore del Sismi, il generale Giuseppe Santovito, iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli.
Il materiale inviato da Pazienza, già condannato per i depistaggi nella strage del 1980 e per il crac del Banco Ambrosiano, non è ancora stato recapitato a Bologna, ma una volta arrivato a destinazione verrà valutato. Di certo, al momento, c’è che al mittente non si intende lasciare spazio temendo forse un ulteriore tentativo di intossicazione a processo in corso. La volontà, già avanzata dalla pubblica accusa, è stata ribadita nei giorni scorsi dai legali di parte civile. “La posizione del collegio”, ha dichiarato l’avvocato Andrea Speranzoni, “è che non siamo interessati in alcun modo a sentire Francesco Pazienza. Se ha delle cose da dichiarare, vada alla procura della Repubblica”.
“Alibi non convincenti”
Il resto dell’udienza è stato dedicato a Francesca Mambro, per la terza volta in aula, che ha finito di rispondere alle domande delle parti civili e della difesa dell’imputato. Incisivo, nella parte conclusiva della giornata, il presidente Leoni il quale, facendo riferimento a una cronologia contenuta nella sentenza d’appello bis del 1994 che condannava all’ergastolo Mambro e il marito, Valerio Fioravanti (sarà sentito il prossimo 13 giugno), ha letto alcuni passaggi del documento. Sono quelli che tengono traccia delle dichiarazioni dei due condannati (a cui si aggiunge Luigi Ciavardini, giudicato dalla giustizia minorile), a proposito di due giornate specifiche: il 31 luglio 1980, quando da Roma, dopo il soggiorno siciliano, Mambro e Fioravanti partono per Venezia dopo una ipotetica “tappa” a Taranto, e il 2 agosto successivo, quando avviene la strage.
Sono dichiarazioni a lungo discordanti “che hanno trovato la consentaneità solo al dibattimento”, ha scritto la Corte d’Appello nel giudizio di ventiquattro anni fa concludendo: “Si deve osservare: [...] che gli stessi prevenuti si sono insanabilmente contraddetti tra di loro; [...] che i coimputati - anche a voler tacere della inaffidabilità connaturata alla loro indicata veste - hanno parlato solo in un secondo momento [...] della gita a Padova, oppure hanno affacciato una versione dei fatti [...] che è il dichiarato frutto di un accordo intervenuto con gli imputati medesimi. La conclusione è che [...] non hanno assolto all’onere che si erano assunti; essi, infatti, non hanno dato alcuna dimostrazione dell’alibi proposto, perché non hanno provato di essersi trovati, all'ora dello scoppio, in un luogo diverso da Bologna”.
“Voi non avete un alibi convincente”, ha rimarcato oggi il presidente Leoni. In ciò che i neofascisti hanno dichiarato “non c’è niente che quadra, ma si assiste un progressivo allineamento per scagionare tutti o qualcuno in particolare”. A proposito dell’“intermezzo” di Taranto, raggiunto nel giro di un giorno e mezzo tra il 30 e il 31 luglio prima di approdare nella base di Cavallini a Villorba di Treviso, Leoni considera ancora che quello spostamento, tra treno e auto, visti i tempi del 1980, “non sta da nessuna parte. Di fronte a tutte queste evidenze, perché inventarsi un viaggio” in Puglia?
“Ci dissero di accusare Vale”
Francesca Mambro replica. Dal punto di vista della ex terrorista, la sua innocenza, come quella di Fioravanti e di Ciavardini, sta proprio nel non aver fornito in alibi. “Erano giorni tutti uguali”, ha dichiarato e per questo, per anni, le sarebbe stato difficile mettere in sequenza i loro movimenti nelle poche decine di ore che precedettero la strage. “Eravamo soli”, ha aggiunto introducendo un dettaglio sul quale il presidente della corte ha picchiato duro. Parlando del depistaggio del gennaio 1981 attuato dal Sismi piduista attraverso il ritrovamento su un treno partito proprio da Taranto di esplosivo compatibile con quello usato alla stazione, Francesca Mambro ha dichiarato: “Ci venne offerto di uscire dalla vicenda accusando della strage Giorgio Vale”.
“Lei fa un’affermazione grave. Chi vi ha fatto questa offerta?” ha chiesto subito Leoni e la teste - dopo aver chiamato in causa ancora i loro intenti rivoluzionari (“per questo rifiutammo”) e negando di essere stata una militante di estrema destra (“eravamo del Msi e del Fronte della Gioventù, garantivamo condizioni di vivibilità e sopravvivenza delle sezioni e delle piazze. Senza di noi sarebbero stati attaccati e poi passammo in clandestinità”) - risponde: “Non ci fu una persona che disse… L’avvocato Adriano Cerquetti [ex difensore di Francesca Mambro, scomparso nel 2003, ndr] disse che ci stavano accusando della strage. Se avessimo voluto uscire, bastava accusare Vale”, morto anche lui (fu ucciso in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine il 5 maggio 1982).
Foto © Imagoeconomica
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