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4di AMDuemila
Alla facoltà di Sociologia di Trento un incontro per fare luce su questo mistero

Trento. “Alla memoria di Mauro Rostagno, studente contestatore a Trento, Laureato in Sociologia con lode. Spirito libero. Assassinato a Lenzi di Valderice (Trapani) per le sue inchieste sul fenomeno mafioso il 26 settembre 1988. Il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale e gli studenti di allora”. Le parole poste su una targa al di fuori dell’aula 16, affollata all’inverosimile per l’incontro “Corrotti? La Trattativa Stato-mafia e l’antimafia oggi”, racchiudono l’emozione di trovarsi in questo luogo gravido di storia legata alle contestazioni del ‘68. L’impegno di un gruppo di valorosi universitari dell’UDU Trento, assieme al presidio di Libera di Trento “Celestino Fava” si concretizza nel voler affrontare il tema spinoso della trattativa. La testimonianza di Peppe Rizzo, dell’ufficio di Presidenza di Libera, restituisce il senso dell’importanza di schierarsi dalla parte giusta: come parte civile nei processi come quello sulla trattativa e in ogni azione quotidiana che ci impone delle scelte. Sullo schermo appare il viso di Agnese Piraino Leto, vedova di Paolo Borsellino, e sono le sue parole, riferite nel 2009 ai magistrati di Caltanissetta che indagavano sulla strage di via D’Amelio, quelle che introducono il dibattito: "Paolo mi accennò che c'era una trattativa tra la mafia e lo Stato. Dopo la strage di Capaci mi disse che c'era un colloquio tra mafia e pezzi infedeli dello Stato". Agnese Borsellino racconta che il marito era "sconvolto" mentre le rivelava di avere saputo che l'ex capo dei Carabinieri del Ros, Antonio Subranni, era un uomo d'onore, un "punciuto". "Paolo mi disse - ha raccontato la donna - ‘mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno’”. Al di là dell’archiviazione di Subranni (per questa specifica indagine legata alle dichiarazioni della vedova Borsellino) i ragazzi restano impressionati da quelle parole. Il vicedirettore di Antimafia Duemila ricorda che Mauro Rostagno è stato indubbiamente tra i pionieri del giornalismo investigativo e che, proprio per la sua meticolosità nel fare il giornalista, aveva iniziato a comprendere quei patti scellerati tra pezzi della politica e la mafia. Rostagno diceva: “Noi non vogliamo trovare un posto in questa società ma creare una società in cui valga la pena di trovare un posto”. “Per creare una nuova società - sottolinea Baldo - è necessario trovare la verità. E noi oggi siamo qui per raccontare un mistero sul quale ancora non è stata fatta luce ma che deve essere raccontato ad ogni costo”. Per far comprendere la serietà dell’argomento in questione vengono citate le sentenze del processo di Firenze per le stragi del ‘93 che sanciscono come una trattativa tra Stato e mafia “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la strategia stragista di Cosa nostra. E “l'iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”. Stessa importanza rivestono le affermazioni del giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta Alessandra Bonaventura (contenute nel suo decreto di ordinanza di custodia cautelare del 2012  scaturita a seguito delle nuove indagini sulla strage di via D’Amelio) quando scrive nero su bianco che la strage di via D’Amelio fu una strage figlia di quella “trattativa” tra Stato e mafia e che “la tempistica della strage è stata certamente influenzata dall'esistenza e dall'evoluzione della cosiddetta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra”. E’ questo l’incipit che serve per addentrarsi in questo mistero di Stato.


Si passa attraverso le testimonianze dei collaboratori di giustizia, le sentenze di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per Marcello Dell’Utri, fino ad arrivare alle richieste di condanna per i nove imputati al processo trattativa. Uno dopo l’altro vengono elencati i capi di imputazione e i relativi anni di galera richiesti per i boss mafiosi, gli ex ministri, gli ex ufficiali dei Carabinieri e i collaboratori di giustizia: tutti assieme in un novello processo di Norimberga. Vengono quindi ripercorse le tappe salienti di questo procedimento giudiziario, dal rinvio a giudizio degli imputati fino all’ultima udienza: lo Stato che scende a patti con Cosa Nostra, che accetta le sue richieste e che cambia i suoi servitori più “intransigenti” con pedine più “disponibili”. In una sorta di flashback ci si rende conto come per la maggiorparte delle richieste del papello siano state realizzate o quanto meno ci abbiano provato. E’ un lungo elenco: dai mancati rinnovi di oltre 300 decreti di 41 bis nel '93, ai numerosi disegni di legge per la revisione dei processi, la chiusura delle supercarceri di Pianosa e Asinara, le numerose proposte di abolire l’ergastolo, le sistematiche manovre al Dap per favorire la “dissociazione” dei mafiosi in maniera indolore, gli indulti estesi ai reati dei mafiosi diversi da quelli associativi (che comprendevano ad esempio il voto di scambio), la legge a dir poco ambigua che stabilizzava il 41-bis rendendone di fatto più facili le revoche, la norma che svuotava il sequestro dei beni mafiosi prevedendo la possibilità di metterli all’asta (facendo in modo di farli ricomprare dai prestanome dei mafiosi), gli scudi fiscali sul rientro dei capitali sporchi in forma anonima e via dicendo. Come se quel famoso papello, in maniera del tutto “discreta”, avesse influenzato (o tentasse di influenzare ancora) i programmi di governo di ogni colore. A dimostrazione della forza dell’impianto accusatorio vengono citate anche le intercettazioni tra Totò Riina e il suo compagno di ora d’aria, Alberto Lorusso; così come quelle tra il boss stragista Giuseppe Graviano e la sua “dama di compagnia” Umberto Adinolfi: dalla condanna a morte nei confronti del pm Nino Di Matteo fino alle dichiarazioni alquanto inquietanti su Dell’Utri e Berlusconi che si inquadrano all’interno delle nuove indagini sui mandanti esterni nelle stragi del ‘93. Le parole dell’avvocato di parte civile Danilo Ammannato vengono citate nella conclusione del vicedirettore di Antimafia Duemila. “Assieme alla Presidente dell'Associazione, Giovanna Maggiani Chelli, che si è sempre battuta come una leonessa per chiedere verità e giustizia - viene riportato fedelmente - ci siamo posti una domanda: se Mori non fosse andato da Vito Ciancimino ci sarebbe stata la strage di Firenze? La risposta è logica. Mario Mori e gli altri carabinieri del Ros imputati sono moralmente responsabili della strage dei Georgofili. Sono moralmente responsabili del sangue di quei 5 morti e dei 48 feriti. La strage di Firenze, infatti, non ci sarebbe stata se Mori e i suoi non fossero andati a trattare con Riina. Perché fu proprio la trattativa a rafforzare la volontà stragista dei corleonesi. Un dato che è scritto anche in sentenze passate in giudicato”. “Al di là del fatto che fino alla sentenza di Cassazione non è possibile ritenere colpevole qualcuno - conclude Baldo -, restano le responsabilità morali di tutti i protagonisti di questa ignobile trattativa che devono essere poste alla luce del sole. Perchè solo attraverso la verità si potrà creare quella società che sognava Mauro Rostagno, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri giusti”. La lettera di solidarietà degli Universitari di Trento in sostegno ai pm del processo trattativa chiude un incontro appassionato: il primo passo per comprendere un pezzo fondamentale di storia del nostro Paese. Che può ancora a condizionare il nostro futuro.

Foto a cura del Presidio Universitario Libera "Celestino Fava" - Trento

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