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zorzi robertodi Antonella Beccaria
Oggi è da tempo un cittadino americano che vive oltre Atlantico e che ha un allevamento di cani a Snohomish, Stato di Washington, il “Del Littorio International Dobermann”. Il 28 maggio 1974, però, era un studente con un diploma da geometra che abitava a Sant’Ambrogio Valpolicella, in provincia di Verona. Figlio di un artigiano che lavorava il marmo, per campare dipingeva quadri e vendeva fiori. Ma fin da quando esplose la bomba in piazza della Loggia, a Brescia, l’interesse dell’autorità giudiziaria per Roberto Zorzi, nato il 2 settembre 1953 a Merano e da non confondere con il più noto neofascista Delfo, naturalizzato giapponese, si legava alla sua militanza politica, che dal disciolto Ordine Nuovo l’aveva portato ad aderire ad Anno Zero.

Oggi, a quasi 44 anni dal massacro bresciano, Roberto Zorzi, difeso d’ufficio dall’avvocato Paolo Staffieri, è indagato per concorso nel massacro del 28 maggio 1974 che costò la vita a otto persone mentre 102 furono i feriti. L’accusa è di concorso in strage e questa mattina, mercoledì 24 gennaio, a partire dalle 7 è scattata una serie di perquisizioni – sono sette – condotte dagli uomini del Reparto Antiterrorismo del Ros centrale di Roma. Disposte dal pubblico ministero della procura di Brescia Caty Bressanelli, le perquisizioni riguardano le abitazioni di otto donne, distribuite tra Sant’Ambrogio di Valpolicella e Pescantina, sempre nel Veronese. In parte vi abitano parenti che portano lo stesso cognome dell’indagato e sono Angela, Teresa Ivana e Maria Dinora Zorzi. Le restanti appartengono a un altro blocco della famiglia: Laura, Elisa, Libera, Stefania Nazzarena e Marta Elisabetta Crescini.

Ma di cosa vanno a caccia gli investigatori? Di Roberto Zorzi esiste solo una fotografia risalente agli anni Settanta e la ricerca dei carabinieri potrebbe riguardare proprio scatti inediti che ritraggono l’ex estremista di destra. Del resto, tra gli elementi a carico di altri due neofascisti, ci sono sempre delle fotografie. C’è quella che ritrae Maurizio Tramonte, condannato definitivamente all’ergastolo per la strage di Brescia nel giugno 2017 ed estradato in Italia a fine anno dopo una fuga in Portogallo (insieme a Tramonte, noto anche come fonte Tritone dei servizi segreti, la pena del carcere a vita è stata inflitta anche a Carlo Maria Maggi, l’ispettore veneto di Ordine nuovo). Il secondo fotografato è Marco Toffaloni, che ai tempi non aveva ancora compiuto 18 anni e che oggi è un cittadino svizzero, indagato sempre per lo stesso reato dalla procura per i minori di Brescia.

Ci sono, però, ulteriori interrogativi a cui i magistrati lombardi devono trovare risposta su Zorzi. Non c’è solo la ricerca delle immagini. Tra questi, una domanda riguarda la sua attuale cittadinanza, che da tempo è diventata statunitense. Ufficialmente, sarebbe l’esito di un colpo di fortuna, avendola “vinta” alla lotteria. Ma questa versione, in procura a Brescia, non convince, soprattutto alla luce della conclamata frequentazione da parte di esponenti ordinovisti delle basi Ftase di Verona. Inoltre Zorzi, fin dai giorni successivi alla strage, veniva messo in relazione a piazza della Loggia.

In un articolo uscito sul «Corriere della Sera» il 30 maggio 1974, il giornalista Giorgio Zicari, risultato poi iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli, scriveva di un estremista fermato in un paese della provincia di Verona e rilasciato 16 ore più tardi. Si trattava di «un giovane di ventuno anni, Roberto Z., che si ritiene possa fornire elementi decisivi per lo sviluppo dell’inchiesta». Inoltre c’è un altro neofascista che sembra legare Zorzi al luogo della strage. È Umberto Zamboni, che di solito usava l’auto della madre.

Era una Fiat 600 e l’auto, si sa da tempo, il 19 maggio 1974 era stata prestata a Zorzi per i funerali di Silvio Ferrari, estremista morto nei giorni precedenti mentre trasportava sulla sua motoretta un ordigno. In un rapporto giudiziario del nucleo investigativo di Brescia datato 7 agosto 1974, si legge di un legame tra le esequie e la bomba in piazza della Loggia, dov’era stata indetta dalle organizzazioni sindacali una manifestazione. «Detta manifestazione», scrissero i carabinieri, «era stata voluta [...] in relazione al decesso del Ferrari ed ai disordini sorti il giorno dei suoi funerali che portarono all’arresto di cinque veronesi [...] aderenti ad Anno Zero». Tra loro c’era sempre Roberto Zorzi, che per il 28 maggio 1974, interrogato, fornì il dettaglio dei suoi spostamenti che lo portavano lontano dal luogo della strage.

Per arrivare a iscrivere nel registro degli indagati l’uomo, tuttavia, devono essere emersi nuovi elementi nell’ambito dell’inchiesta quater sulla bomba di piazza della Loggia. Elementi che hanno portato alle perquisizioni di oggi, ma su cui al momento vige stretto riserbo negli ambienti giudiziari di Brescia. È però il segnale che gli ergastoli inflitti a Tramonte e Maggi non hanno affatto chiuso il capitolo giudiziario su un evento spartiacque nella storia della strategia della tensione.

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