Prossima udienza il 15 dicembre
di AMDuemila
Il fondamento probatorio della sentenza di primo grado è “solido" e "approfondisce tutti i possibili moventi dell'omicidio per individuarne, senza alcuna ombra di dubbio, quello che ha determinato l’omicidio di Mauro Rostagno”. Così gli avvocati Enza Rando e Domenico Grassa, difensori di Libera, venerdì scorso hanno chiesto davanti la Corte di Assise di Palermo, Presidente Matteo Frasca a latere Roberto Murgia, la conferma della sentenza di primo grado, ovvero la condanna all’ergastolo per i due imputati, Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Il primo, capomafia di Trapani, è considerato il mandante dell’omicidio del sociologo e giornalista (avvenuta il 26 settembre 1988); il secondo, killer di Cosa nostra, è ritenuto l’esecutore materiale.
“La sentenza di primo grado - hanno sostenuto gli avvocati - individua l'organizzazione mafiosa “cosa nostra” quale entità mandante ed esecutrice dell'omicidio, non esclude la cointeressenza all'omicidio di altri gruppi di potere occulti, ma censura senza alcun dubbio le ipotesi delle piste alternative, e cioè la pista interna a Saman, la pista dei servizi informativi occulti o quella che vedrebbe esponenti di Lotta continua quali autori e mandanti dell'omicidio di Mauro”. Per le parti civili, la difesa degli imputati cerca di buttare giù una sentenza di primo grado che ha totalmente escluso le piste alternative alla mafia. “Rostagno con il suo lavoro - scrivono gli avvocati di parte civile - minacciava l'esistenza dell'organizzazione mafiosa perché metteva in pericolo il suo potere criminale, fondato su pregnanti ed indissolubili vincoli interni, fatti da rapporti di fedeltà e segretezza assoluti, che venivano disvelati al pubblico con un coraggio tanto disarmante quanto efficace. Rostagno ha portato le aule giudiziarie nelle case dei trapanesi consentendo alla gente di conoscere quello che stava accadendo nel suo territorio, di far conoscere la mafia e i suoi solidi legami con gli ambienti della politica e dei colletti bianchi”.
Un’analisi che ricalca quanto scritto dai giudici di primo grado nelle motivazioni della sentenza per cui “l’omicidio di Mauro Rostagno era volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti”. Rostagno, infatti, raccontava i loschi affari di un territorio in cui la mafia si intrecciava assieme alla massoneria, al mondo imprenditoriale e quello politico, inquinando un intero territorio.
A sostegno alla tesi dell’accusa sul fatto che ad uccidere Rostagno fosse stata la mafia, ci sono state diverse testimonianze di pentiti e collaboratori che hanno detto nel corso del processo che l’ordine di uccidere il giornalista fu dato dal capo della mafia trapanese, il castelvetranese Francesco Messina Denaro, padre del boss latitante Matteo Messina Denaro. Uno fra questi testimoni è Giovanni Brusca che ha detto che Rostagno era “una camurria” per Cosa nostra. Un altro pentito, Francesco Marino Mannoia, ha detto di aver appreso dal boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate, della volontà di Cosa nostra di uccidere Rostagno.
Per questo motivo, dunque, gli avvocati hanno chiesto la conferma dell’ergastolo così come avevano fatto lo scorso novembre i pg Gozzo e De Giglio a conclusione della loro requisitoria. Il processo proseguirà il prossimo 15 dicembre con la conclusione della difesa di Virga e il 16 gennaio quella di Mazzara, mentre la sentenza è prevista a febbraio 2018, ad oltre tre anni da quella di primo grado e a quasi 30 anni dalla morte del giornalista.
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