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di Davide de Bari

29 agosto 1991, ore 7:25, Libero Grassi è sul balcone della sua casa, insieme alla moglie. Scambiano poche parole e Libero si avvia verso la porta d’uscita. Ore 7:30 esce dal portone e si dirige verso l’auto. Salvino Madonia e Marco Favaloro sono già appostati e aspettano che Grassi esca di casa. Il boss comanda al suo complice di tenere il motore accesso e lo sportello aperto per la fuga. Scende dall’automobile, nascondendo un calibro trentotto nel giornale, e segue la vittima. L’imprenditore svolta per via Alfieri e il killer arriva alle sue spalle, punta la pistola e spara quattro colpi, uno al petto, tre alla testa. Muore così, in un battito d’ali, il simbolo dell’antiracket colpito alle spalle.



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Libero di nome e di fatto

Libero Grassi, imprenditore tessile da sempre attivo anche in politica, insieme al figlio Davide è a capo dell’azienda di famiglia, la Sigma, quando il clan Madonia, appartenente a Cosa Nostra, bussa alla porta per il versamento del pizzo. L’imprenditore trova il coraggio di opporsi e di rimandare al mittente tali richieste e minacce attraverso una lettera al “Caro estortore” pubblicata sul Giornale di Sicilia il 10 gennaio 1991. Un gesto rivoluzionario per l’epoca, dove l’imprenditoria era per la maggior parte distorta e manovrata dalla mafia che decideva cosa fosse lecito o illecito, chi doveva guadagnare o chi no. Un atto di guerra a Cosa Nostra di un comune cittadino. Ecco che, quella lettera diventa una bomba a orologeria. La netta posizione di Grassi viene ripresa da giornali locali, dal “Corriere della Sera” e qualche strascico su “la Repubblica”. Tutto il resto della stampa sembra ignorare l’accaduto. Il prefetto, Mario Jovine, e il questore, Fernando Masone testimoniano la loro vicinanza offrendogli la scorta, ma Libero la rifiuta e simbolicamente consegna le chiavi della fabbrica alla polizia.

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Solo contro il pizzo
Molti fax di solidarietà arrivano da tutta Italia, ma i colleghi siciliani non offrono la loro solidarietà a Libero Grassi. Proprio dalle parole del presidente degli industriali, Salvatore Cozzo, in un’intervista rilasciata a Riccardo Arena del “Giornale di Sicilia”, emerge una presa di distanza dalla denuncia di Grassi e anche un invito a “chiudere la bocca”. 
Il 4 aprile 1991 il giudice istruttore di Catania, Luigi Russo, assolve i quattro cavalieri di Catania: Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo (soprannominati “I cavalieri dell’apocalisse” da Pippo Fava in un suo articolo su “I Siciliani”, ndr). Nella sentenza è scritto nero su bianco che non è reato ottenere la “protezione” dei boss. Il giorno dopo la pubblicazione della sentenza, la reazione di Libero Grassi in un’intervista su Radio Radicale è durissima: "È importante che noi da siciliani risolviamo questo problema con un atteggiamento preciso e dichiarato. Ognuno ha detto la sua verità, se uno la legge bene. Perché l'associazione industriale, anche a livello nazionale grossomodo ha detto: nessuna protesta per il pizzo. Questa è una verità. Nel senso che non c'è la protesta quando si paga. Un magistrato ha detto, in fondo, che se si vuole fare l'imprenditore industriale in Sicilia, bisogna mettersi il cuore in pace e mettersi d'accordo prima con la mafia. E personalmente a questo non ci sto!".
 Anche a “Samarcanda”, condotta da Michele Santoro, Grassi usa parole dure che non risparmiano nessuno, tantomeno il giudice Luigi Russo: “Dico al dott. Luigi Russo … se tutti si comportano come me si distruggono le industrie? Se tutti si comportano come me si distruggono gli estorsori non le industrie!” e ancora “è quarant’anni che ci vivo [a Palermo], ancora non sono morto!”. 
Parole che, dall'altra parte dello schermo, ascoltano anche i mafiosi e decidono che Grassi è un problema che va risolto subito. 
Il silenzio e l’abbassamento dei riflettori su Libero è l’iniziò del suo accerchiamento e, come sempre fa la mafia prima di colpire la sua vittima, gli creano il vuoto attorno. L’imprenditore tessile sa bene che prima o poi Cosa Nostra gli chiederà il conto e il 29 agosto 1991 arriva prontamente.


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Un'eredità da portare avanti
Sul luogo dell’agguato si intravedono i sandali che Libero portava poco prima, il suo corpo è ricoperto da un telo bianco. Così mettono a tacere una volta per tutti Libero Grassi. Ma il figlio Davide, nel giorno dei funerali, da un messaggio chiaro, e mentre porta il feretro inneggia il simbolo della vittoria, come a dimostrare che a vincere, anche in quel triste giorno, sono le idee e i valori di cui Libero è stato promotore.
 L’eredità morale e civile è stata infatti raccolta da sua moglie, Pina Maisano, che ha contribuito assieme ad associazioni come Libero Futuro e Addiopizzo, affinché la battaglia di Libero non fosse stata vana. 
Dal ’91 sono stati fatti dei passi avanti, in materia di tutela di coloro che decidono di denunciare i propri estorsori, come la legge 45/2001 che riconosce la figura del testimone di giustizia e la tutela. Per quanto il legislatore si sia sforzato nel disciplinare tale figura, le lacune sono ancora molte però. Infatti chi ha il riconoscimento di “testimone di giustizia” non è messo in condizione di restare nel luogo di origine o addirittura ricostruirsi una nuova vita che non assomigli ad un esilio forzato. E la poca chiarezza normativa, molto spesso, porta a confondere la figura di “testimone di giustizia” con quella del “collaboratore di giustizia”.
Gli ultimi dati, forniti dalle numerose operazioni della Dia e dalla Dda di Palermo, registrano un crescente numero di commercianti che si chinano al pagamento del pizzo. Un fatto probabilmente  legato alle numerose scarcerazioni di qualche anno fa e al bisogno di Cosa Nostra di fare cassa. Anche se Cosa Nostra è indebolita dalle numerose operazioni di polizia e magistratura, sembra  detenere un forte controllo sul racket ricorrendo sempre meno alle intimidazioni e minacce.
Eppure la situazione rispetto a ventisei anni fa è cambiata, e non sono pochi gli imprenditori, commercianti, artigiani e cittadini che trovano il coraggio di denunciare. Questo significa che il sacrificio di Libero Grassi non è stato vano, come non lo sono state le sue parole rivoluzionarie e profondamente etiche, che rimarranno impresse nella memoria di chi, avendo a cuore la ricerca della giustizia, vorrà ascoltarle. Così da sviluppare la consapevolezza che la libertà e la democrazia sono valori inestimabili che ogni cittadino deve custodire.

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