Accolto l’impianto accusatorio dell’operazione “Beta”. 30 arresti lo scorso luglio
Una “cellula” mafiosa a Messina c’è, eccome. A confermarlo è stato il Tribunale della libertà di Messina, che ha accolto l'impianto accusatorio dell'operazione “Beta”, scattata lo scorso 6 luglio. Si tratta di una struttura criminale locale che integrava le caratteristiche dell'associazione mafiosa. L'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dai sostituti Maria Pellegrino, Liliana Todaro e Antonio Carchietti, aveva portato in carcere 30 persone, svelando l'esistenza di una cellula mafiosa catanese, diretta emanazione del clan Santapaola, che aveva messo le mani sugli interessi nel settore immobiliare e negli appalti pubblici. Con l’inchiesta erano emerse anche le collusioni con funzionari dell'amministrazione messinese in merito all'acquisizione di immobili da destinare poi ad alloggi popolari, così come gli interessi illeciti nelle scommesse calcistiche, nelle corse clandestine di cavalli e nei giochi online.
L’accusa, durante le udienze al Tribunale del riesame, ha depositato altre intercettazioni da cui emergono nuovi affari nell’ambito del riciclaggio internazionale. Sono state inoltre pienamente confermate le contestazioni di associazione mafiosa che sostenevano le misure cautelari nei confronti di Vincenzo e Francesco Romeo, considerati al vertice della famiglia mafiosa, nonché, tra gli altri, di Pasquale, Benedetto e Antonio Romeo, Stefano Barbera, Marco Daidone e N. L.. Rimangono agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa anche l'imprenditore Carlo Borella, ex presidente dei costruttori di Messina e l'avvocato Andrea Lo Castro. Per Lo Castro il Tribunale del riesame ha confermato anche la falsa intestazione dell'appartamento del complesso Nuovo Parnaso, che secondo l'accusa sarebbe stato acquistato con denaro del capo mafia Vincenzo Romeo ed intestato al fratello Gianluca, ritenendo però non compatibile l'ulteriore contestazione di riciclaggio. Agli arresti domiciliari per corruzione è il tecnico comunale, ingegner Cucinotta; così come l'imprenditore Rosario Cappuccio, per l'estorsione a un altro commerciante. Per quanto riguarda quest’ultimo reato, nei giorni scorsi erano stati rimessi in libertà i due imprenditori del nord - Italo Nebbiolo e Guarneri - poiché si erano dimessi dalle cariche rivestite nel consorzio Cic che, secondo l'accusa, aveva fatto ricorso alla famiglia mafiosa di Cosa nostra per risolvere una controversia economica.
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