Lo chiediamo a Nino Amadore.
di Luciano Armeli Iapichino
E poi capita. Capita che in uno scorcio di pomeriggio, in una piazza di paese nel cuore del Parco dei Nebrodi, accarezzata dalla frescura vespertina, folklorizzata dalle voci della briscola, seduto a un tavolo dinanzi a una birra col un interlocutore casuale, il discorso prenda una piega impegnativa, su una questione di lana caprina, per una piaga mimetizzata e in continua metamorfosi: la mafia. O meglio la zona grigia, in altre parole quella sovrastruttura umana “pulita” che consente alla struttura criminale di continuare a fare affari.
E lui è Nino Amadore, giornalista de Il Sole 24 Ore autore de Il Mutamento: le mafie hanno davvero cambiato pelle?, Ed. Il mio libro, di recente pubblicazione, acquistabile nei circuiti Feltrinelli.
Perché il punto di partenza è un dato incontrovertibile: i patrimoni, quelli loschi, “non si muovono da soli e con la burocrazia che c'è nel nostro Paese un supporto da parte di chi possiede le conoscenze giuste (in tutti i sensi) è più che necessario.”
E allora, qual è il confine “dell’area di mezzo”, la dimensione socio-professionale di chi è “disponibile a trattare e fare affari con i mafiosi, ad accettare i loro servizi, i loro soldi, a consigliarli, seguirli, assecondarli”, dotato, altresì, di un razionale e subdolo senso del limite che gli suggerisce quando fermarsi, evitando i radar dell’azione investigativa, l’identificazione, la condanna?
E l’altro dato che balza agli occhi, cronaca alla mano da Nord a Sud, e di cui il modello della Capitale sembra aver fatto scuola, è il “fallimento di codici etici e norme di autogoverno di associazioni o ordini professionali.”
Un vero e proprio dilemma, soprattutto per i magistrati che iniziano ad avvertire la necessità di dotarsi, legislatore permettendo, di strumenti normativi più definiti nella lotta alla zona grigia, in cui la forza della collusione sta in un attributo, “paritetico”, così definito da Amadore, con riferimento al rapporto tra mafioso e professionista, tra mafioso e rappresentante delle istituzioni, tra mafioso e imprenditore.
Con esempi concreti, Amadore lobotomizza un altro elemento non secondario: citando alcuni processi contro le ‘ndrine, le relative sentenze pronunciate dai tribunali del Nord, e l’approfondimento in merito del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, appare che l'efficacia di un articolo del codice, e non uno qualunque ma il 416 bis, che ha avuto grandi meriti in passato, oggi, “a fronte di mafie liquide e in costante mutamento, rischia di non reggere più”. Questioni giurisprudenziali complesse, certo, di cui sembrano esserne a conoscenza anche gli addetti ai lavori criminali supportati da esperti della materia per evitarne l’applicazione.
Come quelle sul rapporto criminalità-finanza nella nostra penisola, corazzato da invisibili e indefinibili muri di protezione. Amadore su questo punto è granitico: “Ci sono santuari intoccabili in cui è stata celebrata la liturgia dell'arricchimento criminale in anni che ormai ci sembrano appartenere alla protostoria.” E aggiunge: “Anche la legislazione del nostro paese, in qualche modo, ha provato a mettere una pietra sopra. E non parliamo solo di Sindona e di Calvi, non parliamo solo dei grandi scandali finanziari che hanno coinvolto pesantemente il Vaticano.”
Secondo l’analisi del giornalista de Il Sole 24 ore, “più ci si avvicina al cuore dei soggetti che supportano le mafie più diventa pericoloso: diciamo che il rischio di finire male (ammazzati oppure azzerati sul piano della credibilità pubblica) è direttamente proporzionale. Non è un fatto nuovo: ancora recentemente attorno a provvedimenti che hanno riguardato patrimoni e ricchezze riconducibili alla borghesia siciliana hanno innescato prima polemiche poi accuse, veleni, inchieste.” Come dargli torto. La zona grigia è intoccabile. Dai tempi di Falcone e Borsellino.
Dinanzi a quella birra, rigorosamente siciliana, più si accendevano le dispute tra i giocatori di briscola, più il mutamento di pelle della criminalità è stato scandagliato con la freddezza e la precisa manualità di un giornalista attento e professionale nelle vesti di chirurgo.
Invisibilità, dunque, è la peculiarità delle nuove consorterie politiche - istituzionali - mafiose che fanno affari in sinergia, supportate da qualificate professionalità non visibili e da soggetti – e questo è un dramma nel dramma – che “apparentemente, ma solo apparentemente, stanno nella legalità”. Amadore cita il caso del pm di Reggio calabria, Giuseppe Lombardo, con riferimento alla ‘ndrangheta, il quale in un’intervista proprio ad Antimafia Duemila ha dichiarato: “C'è un momento ben preciso in cui tu capisci di aver capito. Soprattutto, capisci che loro hanno capito che tu hai capito. A Reggio Calabria è successo per quanto riguarda il mio lavoro tra il 2009 e il 2010. Quando ho cominciato a mettere insieme i pezzi, loro mi hanno fatto sapere che sapevano con una puntualità imbarazzante cosa stavo facendo”.
Un mutamento a trecentosessanta gradi che investe anche i tradizionali e i nuovi settori d’interesse della “palude siciliana”, a iniziare dalle energie alternative, dall'eolico al fotovoltaico. “Campo - rileva Amadore - in cui i mafiosi primeggiavano per l'accaparramento dei terreni, l'esecuzione dei lavori, l'industria della sicurezza degli impianti (la guardiania) e dei mezzi, l'acquisizione delle autorizzazioni e delle concessioni.” Senza dimenticare il business delle agromafie ai danni dell’Unione europea, con numero da capogiro: cinque miliardi di euro nella sola Sicilia e laddove, nonostante il lavoro eccellente degli inquirenti, non sempre si riesce a svelare l’elemento associativo prestato dalla politica e dal macrocosmo delle professionalità. E se, nei tavoli limitrofi, aumentava il calcolo dei punteggi dei vincenti della briscola, nel nostro eravamo a quota cinquanta milioni di euro “secondo alcune stime al ribasso nella sola area dei Nebrodi”, riferiti al giro d'affari tra truffe sui pascoli, traffico di sostanze stupefacenti e racket.
Come afferma il vice-questore aggiunto Daniele Manganaro, “questi non sono territori tranquilli, sono territori storicamente controllati da associazioni mafiose e nello stesso modo in cui si evolvono i tempi, la mafia si evolve”. Per il soggetto criminale mutante, supportato da substrati collusi, “il rischio è pari a zero”. Una situazione simile che serpeggia cangiante nel resto dell’isola e che Amadore sviscera con dovizia di particolari su quel tavolo, in quella piazza immersa nella macchia nebroidea. Vicende, interviste e dati, raccolti da Nino Amadore, che fungono da inquietante termometro del malaffare, surriscaldato da un’arsura che non brucia la cattiva pelle perché protetta da un’invisibile e protettiva “crema sociale”.