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2Sindacati a raccolta per il primo maggio. Ma nessuna parola sui misteri di Stato
di Aaron Pettinari - Fotogallery

“Se oggi siamo qui è per il coraggio che abbiamo avuto allora". Con queste parole Serafino Petta, 86 anni, sopravvissuto alla strage di Portella della Ginestra, è intervenuto dal grande palco realizzato in occasione del settantesimo anniversario del delitto. Diecimila persone, secondo gli organizzatori sono accorsi in questo giorno di ricordo, di memoria, di lotta per i diritti dei lavoratori. Lungo la strada che porta da Piana degli Albanesi un murales ricorda i nomi di chi oggi non c’è più. Vite spezzate troppo presto come Vincenza La Fata (8 anni) e adulti come Filippo Di Salvo (48 anni). Poi ancora Margherita Clesceri (37 anni), Giorgio Cusenza (42 anni), Giovanni Megna (18 anni), Francesco Vicari (22 anni) Vito Allotta (19 anni), Serafino Lascari (15 anni) Giuseppe Di Maggio (13 anni), Castrense Intravaia (18 anni) e Giovanni Grifò (12 anni). Uno ad uno i nomi sono stati letti, seguiti dal “silenzio” ed un lungo applauso per rimarcare che quell'eccidio non è riuscito a spezzare un ideale. "No - ha risposto ancora Petta, interpellato se quegli eventi abbiano cambiato la storia italiana -. Abbiamo continuato, questa è stata la nostra forza. Certo nei primi giorni non si capiva nulla, i dirigenti erano sempre in stato di assedio. Ma dopo un mese siamo saliti a Portella a commemorare i morti e da Piana degli Albanesi il corteo non finiva mai".


Anche oggi c’era un fiume di gente. Molti anziani, ma anche giovani e giovanissimi. Dopo Petta hanno parlato lavoratori, funzionari comunali e, soprattutto, i segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Chi si aspettava una parola di denuncia sulle tante troppe mancate verità rispetto al delitto è rimasto sicuramente deluso. L’unica a parlare di strage di Stato è stata la Camusso che poi ha proseguiti affrontanti i temi tanto cari al sindacato dei lavoratori: “L’emergenza prioritaria del paese è la disoccupazione giovanile, la creazione di lavoro la politica degli investimenti. Se non riparte un investimento pubblico dedicato anche a curare il nostro Paese, raccontare ai giovani che ci sarà per loro una prospettiva di lavoro è falso". Poi ha fatto un accenno alla crisi Alitalia. Il segretario generale della Uil ha invitato a “fare ripartire il mezzogiorno per far ripartire l'Italia. C'è da impegnarsi. se pensiamo che anche l'altro giorno è morto un giovane di 21 anni sul lavoro e un altro si è suicidato perché non trovava un'occupazione stabile, vuol dire che non abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Serve riprendere dal mezzogiorno. 70 anni fa c'è stata la strage a poche settimane dalla Carta Costituzionale che al primo punto riporta 'L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro'. Stanno cercando di affondarla sul lavoro, bisogna reagire - ha detto Barbagallo -. Bisogna fare in modo che le imprese riprendano le proprie attività. Bisogna far ripartire il mezzogiorno per far ripartire l'Italia”. Infine la segretaria della Cisl Furlan ha detto: “Se c'è una cosa che la crisi ha insegnato al Paese è che o tutto il Paese riparte, a partire dal Sud, o non supereremo mai totalmente la crisi. Parlare di Sud è parlare di investimenti importanti, infrastrutturali, sull'occupazione, sulla ricerca, di cultura del lavoro e della legalità. L’emergenza che da tanti anni attraversa il nostro paese è il tema del lavoro: come rilanciamo l'economia del paese, lo sviluppo e la crescita e come creiamo occupazione. Per i tanti disoccupati, in modo particolare i giovani, per i tanti lavoratori e le tante lavoratrici che ogni giorno temono di perderlo, il lavoro".
E i misteri dietro la strage? Ciò che non si conosce? Silenzio. Assordante. Di certe cose è meglio non parlare, evidentemente.
Così ti viene in mente quanto detto più volte da magistrati come Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo: “Tutta la storia repubblicana è segnata dal ‘gioco grande’ celato dietro progetti di colpi di Stato poi rientrati (dal golpe Borghese al piano Solo) e stragi caratterizzate da depistaggi provenienti da apparati statali: da Portella della Ginestra alla strage di Bologna alle stragi del 1992-93. Molte stragi d’Italia nascondono retroscena che coinvolgono decine, se non centinaia di persone. Portella della Ginestra, ad esempio, coinvolte la banda Giuliano, i mafiosi, i servizi segreti, esponenti delle Forze dell’ordine, il ministero dell’Interno. La storia insegna che quando un segreto dura nel tempo sebbene condiviso da decine e decine di persone, è il segno che su quel segreto è impresso il sigillo del potere. Un potere che cavalca la storia riproducendosi nelle sue componenti fondamentali e che eleva intorno al proprio operato un muro invalicabile di omertà, perché è così forte da poter depistare le indagini, alimentare la disinformazione, distruggere la vita delle persone, riuscendo a raggiungerle e a eliminarle anche nel carcere più protetto. Come Gaspare Pisciotta, testimone scomodo ucciso all’Ucciardone con un caffè alla stricnina, e a un’altra decina di persone al corrente dei segreti retrostanti la strage di Portella”.
Non resta che avere fiducia nelle parole del Presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, che a margine dell’evento ha assicurato: “Ci confronteremo con il comitato e se c'è ancora del lavoro da fare lo faremo e non credo che dopo tutti questi anni qualcuno potrà opporsi. Lavoro giustizia e verità tornano dopo 70 anni, perché non è ancora stata fatta verità". "Una verità è stata chiarita: a Portella sparò il bandito Salvatore Giuliano - ha proseguito Bindi -. Che armò le sue mani fu la mafia e la capacità di creare complicità con i poteri politici ed economici dell'epoca. Oggi la mafia continua a essere contro il riscatto dei lavoratori e contro qualunque forma di emancipazione e continua a inquinare la qualità della vita democratica".

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