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di Emiliano Federico Caruso
In seguito all’emissione di una misura di prevenzione patrimoniale e personale da parte del Tribunale di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, i reparti della Divisione Anticrimine della Questura di Roma e la Squadra Mobile della Polizia di Stato, con l’aiuto della Polizia Scientifica e dell’U.P.G.S.P. (Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico) hanno eseguito questa mattina una serie di sequestri nei confronti del clan Cordaro.
Il clan Cordaro, egemone della zona capitolina di Tor Bella Monaca e già militarmente indebolito dai 37 arresti di luglio dello scorso anno, non si faceva mancare nulla: tre milioni di euro in beni tra ristoranti, bar, pizzerie, appartamenti, conti correnti, ville con piscina, armi e persino una squadra di calcio.
Ma partiamo dall’estate dello scorso anno. Tor Bella Monaca è uno dei quartieri più famosi della Capitale, la sua storia risale nientemeno che al medioevo, a quella torre appartenuta a Pietro Monaca, che avrebbe in seguito dato il nome all’intera zona. Narra la leggenda che qui passò anche santa Rita da Cascia durante il pellegrinaggio per il giubileo del 1450.
Nei primi decenni del secolo scorso, in seguito alle immigrazioni di disperati provenienti dalle regioni del sud Italia e dalle zone più periferiche di Roma, Tor Bella Monaca inizia a diventare una di quelle borgate tanto amate da Pasolini. Ma rimane un pittoresco quartiere solo per pochi decenni: già negli anni ’60, in seguito all’abusivismo edilizio, Tor Bella Monaca diventa una zona dove prosperano traffici illeciti di ogni tipo fino a diventare, insieme a San Basilio, uno dei quartieri più pericolosi di Roma.
Tra i vari clan che si dividono il controllo della zona ce n’è uno molto potente e ben organizzato: i Cordaro. Controllano lo spaccio di droghe nel quartiere, cocaina e hashish, sono particolarmente crudeli e soprattutto hanno armi, tante armi tra revolver, beretta, fucili a pompa e kalashnikov, l’immancabile AK-47 considerato un must nella criminalità organizzata.
Ma i Cordaro, in perenne contrasto nel quartiere con il clan di Stefano Crescenzi, non sono solo crudeli e potenti, ma anche svegli e ben organizzati. I guadagni del traffico di droga vengono investiti in attività commerciali e appartamenti, e la contabilità delle operazioni viene scrupolosamente tenuta in registri custoditi in un appartamento-bunker (con tanto di telecamere di sorveglianza) dal quale vengono anche gestiti i vari turni di “lavoro” e sistemate le scorte di droga e di armi. Reinvestimenti, spaccio e traffici illeciti che fruttavano al clan qualcosa come 125 mila euro al mese.
Ma all’inizio dell’estate del 2016 succede qualcosa. I primi giorni di luglio il clan, vertici inclusi, viene praticamente smontato da una serie di 37 arresti, sequestri e perquisizioni. È l’operazione R9 (dal nome del comprensorio di Tor Bella Monaca dove spadroneggiava il clan) dove, oltre a spaccio, riciclaggio di denaro, detenzione di armi ed estorsione, emerge anche una lunga serie di reati ben più gravi, tra cui gli omicidi di Salvatore D’Agostino (25 novembre 2015) e Serafino Cordaro (30 marzo 2013). Per fare luce quest’ultimo reato si rivelò fondamentale il contributo del pentito Giuseppe Pandolfo, che si prese la responsabilità dell’omicidio commissionato da Luca Fiorà e Stefano Crescenzi. E poi lesioni, minacce, altri omicidi e, già che ci siamo, una truffa di falsi contratti e buste paga ai danni di Inps e Inail, il tutto nello scenario della faida che vede contrapposti i clan Cordaro e Crescenzi.
All’inizio gli arresti dell’indagine R9, durata tre anni, non sembrano preoccupare molto i Cordaro: uno dei boss, Valentino Iuliano, che da libero se ne andava in giro con una pistola ungherese Feg Pa-63 non censita in Italia e reggeva le redini del clan insieme alla moglie Natascia Cordaro, riusciva poi tranquillamente a dirigere le operazioni via telefono cellulare dal carcere di Rebibbia.
Ma è solo questione di tempo. Passa meno di un anno da quei 37 arresti (il clan, al massimo del suo potere, contava in tutto una cinquantina di affiliati) dell’estate 2016, e arrivano i sequestri definitivi nei confronti del clan di Tor Bella Monaca: vari conti correnti, il ristorante “Garden” e la pizzeria “Mafalda” di Sassari, vari appartamenti a Roma e dintorni, armi, munizioni, denaro e, giusto per non farsi mancare proprio nulla, una squadra di calcio, la “Ilvamaddalena 1903”, con tanto di campo privato “Pietro Secci” e bar interno. Di questo se ne occupava direttamente il solerte avvocato del clan, nominato per l’occasione presidente della squadra di calcio, al quale vennero anche versati 190 mila euro da impiegare nella gestione dell’Ilvamaddalena 1903.
Lista Beni sequestrati:
.Appartamento di 150 mq con piscina e giardino in via dei Palosci, zona Tor Vergata di Roma, del valore di 400 mila euro
.Appartamento in via san Cesareo a Rocca Priora, Roma, del valore di 200 mila euro
.Ristorante “Garden” nell’isola della Maddalena, Sassari, acquisito con un investimento di 100 mila euro dal clan
.Appartamento a Montecompatri del valore di 140 mila euro
.Pizzeria “Mafalda”, nell’isola della Maddalena, Sassari, acquisito grazie anche all’aiuto dell’avvocato del clan, al quale vennero versati 95 mila euro da investire nel locale
.4,500 euro in contanti già sequestrati a luglio del 2016
.Vari conti correnti, cassette di sicurezza e rapporti finanziari