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limiti stefania c emanuele di stefano 2015di AMDuemila
“Oggi ho ricevuto un avviso di garanzia con il quale vengo informata dalla Procura di Roma di essere indagata per il reato di false dichiarazioni ai Pm (art. 371/bis)”. Comincia così il post della collega Stefania Limiti pubblicato poco fa sulla sua pagina facebook dal titolo inequivocabile “i giornalisti tutelano le loro fonti!”. “Nel 2015 – prosegue la giornalista-scrittrice – non ho voluto rivelare ai magistrati di Caltanissetta la fonte Gladiatore che cito in Doppio livello a proposito della strage di Capaci. I giornalisti svolgono le proprie inchieste senza altri strumenti se non la tutela delle proprie fonti: per questo è importante la possibilità che possano farlo senza che nessuno rompa il patto di riservatezza. Ho ritenuto doveroso rispettare la parola data e la deontologia professionale. Vedremo che accadrà”. La notizia è stringata e ricalca la fredda cronaca dei fatti. Certo è che il libro della Limiti accendeva – e accende tutt’ora – un faro di luce sul biennio stragista ‘92/’93 sul quale gran parte del nostro Stato non ha intenzione di far emergere le proprie responsabilità. “Questo libro vuole entrare nel doppio livello della destabilizzazione – si leggeva nella recensione – dalla sua nascita fino alle stragi mafiose, tentando di capire come sia stato possibile realizzare una così grande operazione di camuffamento e deviazione della verità”. L’autrice ricordava che l’Italia è un paese sempre in cerca della verità “incapace di fare i conti col proprio passato”. “Il doppio livello non è la fotografia di una mente diabolica che avrebbe deciso i destini del nostro paese. Il doppio livello è un progetto di potere, chiaro e organizzatissimo, il cui esito finale è sempre stato quello di camuffare e coprire con ‘false bandiere’ il reale corso degli avvenimenti. Non un contropotere, ma il potere tout court: cinico, invisibile, violento”. Un’analisi schietta, documentata, ma soprattutto scomoda.

L’abbraccio e la piena solidarietà a Stefania Limiti da tutta ANTIMAFIADuemila nella speranza che un giudice ristabilisca, al più presto, l’ordine delle cose.

Foto © Emanuele Di Stefano

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