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grasso pietro c emanuele di stefanodi AMDuemila
"S'intuisce che Cosa nostra possa essere stata il braccio armato di altri interessi: di una strategia politica; di tipo economico legati agli appalti pubblici; o di entità deviate rispetto alle proprie funzioni istituzionali. Purtroppo però non è stato possibile trovare le prove. Gli elementi per raggiungerle sono a conoscenza solo dei vertici dell'organizzazione, che non hanno collaborato con la giustizia". Ad affermarlo, al Corriere della Sera, è il presidente del Senato Pietro Grasso, venticinque anni dopo la sentenza della Corte di cassazione che rese definitive le condanne del maxiprocesso alla mafia.
"Come in tanti altri delitti eccellenti di Cosa nostra - ha detto ancora - credo che ci siano altre possibili causali di contorno, legate ad interessi di altri". Il fatto è, però, che mancano i riscontri: "Ma non dobbiamo mai perdere la speranza di trovare la verità. E continuare a cercare" ha aggiunto, "la storia di Cosa nostra è una storia di misteri irrisolti o solo parzialmente risolti. Non solo per le stragi, ma anche per i cosiddetti “omicidi politici” di Michele Reina, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa. Che danno l’impressione di essere stati commessi non solo per le esigenze di Cosa nostra; anzi, l’hanno danneggiata. Molti pentiti hanno fatto questo tipo di riflessioni, senza poter andare più in là. Perché soltanto i vertici potevano essere al corrente di certi contatti con entità esterne".
Quando, ha ricordato Grasso, il 30 gennaio 1992 la Cassazione ripristinò gli ergastoli per i boss di Cosa nostra, "mi trovavo al ministero della Giustizia dove lavoravo con Giovanni Falcone e fin dal dispositivo, prima ancora di leggere le motivazioni che sarebbero arrivate in seguito, capimmo che era stato confermato l’impianto del pool e della corte d’assise. Fu motivo di grande soddisfazione, anche perché dopo la sentenza di appello che aveva fatto cadere le accuse contro la Cupola, temevano che la Cassazione potesse andare nella stessa direzione". Fu, ha commentato il Presidente del Senato, "un risultato storico, perché significava che sul piano giuridico non poteva più essere messa in dubbio l’esistenza della mafia, né la sua struttura unitaria e verticistica. Da quel momento, negli altri processi, bastava acquisire la sentenza del maxi per averne la prova".

Foto © Emanuele Di Stefano

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