di Aaron Pettinari
In occasione del 36° anniversario pubblichiamo il ricordo di Gaetano Costa, ucciso da Cosa nostra il 6 agosto 1980.
“Mio marito fu lasciato solo a firmare i mandati di cattura contro la cosca Spatola-Inzerillo. Qualcuno lo additò addirittura come unico responsabile di quei mandati. Lo andarono a raccontare in giro agli avvocati dei mafiosi, ai giornalisti”. Sono le parole dette da Rita Bartoli, moglie del procuratore capo di Palermo Gaetano Costa, ucciso il 6 agosto 1980, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera qualche anno dopo la morte del magistrato (14 settembre 1983). Una denuncia chiara rispetto quel colpevole isolamento “interno” a cui il marito era stato “condannato” all'interno del Palazzo di Giustizia, forse mai come allora “palazzo dei veleni”.
Nel 1978 Costa, nuovo procuratore capo della Procura di Palermo, era arrivato da Caltanissetta con una dichiarazione che contribuì a isolarlo sempre di più da chi preferiva convincersi che la mafia non fosse mai esistita: “Non accetterò spinte o oppressioni, agirò con spirito di indipendenza. Cercherò di non farmi condizionare da simpatie e risentimenti”.
L’unico con cui poteva parlare senza riserve era il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, Rocco Chinnici, che quando divenne Procuratore Capo ne proseguì l'azione. I due si ritrovavano a discutere delle inchieste in ascensore, il solo posto dove non rischiavano di destare sospetti. Le indagini vertevano sulle famiglie degli Spatola, dei Gambino e degli Inzerillo, sul filone investigativo che legava la mafia sicula a quella americana, sul nuovo business della droga condiviso dalle due organizzazioni. Era quella la pista che seguivano investigatori come Boris Giuliano, ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979, ed Emanuele Basile, capitano dei carabinieri della compagnia di Monreale, poi ucciso la sera del 4 maggio un anno dopo.
Sentenza di morte
La condanna a morte del giudice scatta la sera dell'otto maggio del 1980. Costa, a conclusione di una riunione di “vertice” di magistrati in procura firma da solo la convalida degli arresti di 55 mafiosi, in testa Rosario Spatola, fermati quattro giorni prima, subito dopo l'uccisione del capitano dei carabinieri. Invano aveva cercato di spiegare ai sostituti l’importanza di dare un segnale forte per porre fine a quella scia di sangue che sembrava non volersi arrestare. Quel gesto coraggioso, accompagnato da un nuovo impulso nelle indagini di mafia che metteva in naso sui rapporti bancari dei boss, portò Cosa nostra ad agire.
Pur essendo l'unico magistrato a Palermo al quale, in quel momento, erano state assegnate un’auto blindata ed una scorta, non ne usufruiva ritenendo che la sua protezione avrebbe messo in pericolo altri e che lui era uno di quelli che “aveva il dovere di avere coraggio”.
costa-gaetano-c-cristina-scuderiCosì la sera del 6 agosto, mentre sfogliava dei libri in un'edicola di via Cavour a Palermo, a due passi da casa sua, Gaetano Costa fu freddato da tre colpi di pistola sparatigli alle spalle da due killer in moto. Un'omicidio che tutt'ora, nonostante la Corte di assise di Catania ne abbia accertato il contesto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato, non ha un colpevole.
Di lui scrisse un suo sostituto che era un uomo “di cui si poteva comperare solo la morte”. Al funerale parteciparono poche persone e pochi magistrati, tanto per rimarcarne l'isolamento anche dopo la sua morte. Oggi il magistrato sarà ricordato a Palermo con una messa alle 10, a San Giovanni dei Napoletani, e con la deposizione di una corona di fiori in via Cavour, alle 11, davanti alla lapide che lo ricorda.
(6 agosto 2015)