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casa professa 2016di Aaron Pettinari - Fotogallery
“La memoria, diceva S.Agostino, non è il passato ma il presente del passato. E in quanto presente del passato è il fondamento del futuro. Ciò significa che se non abbiamo memoria non abbiamo prospettive di futuro”. In queste poche parole ricordate da Antonio Buttitta, Professore Emerito di Antropologia Culturale, c’è tutto il significato di un incontro come quello che si è tenuto ieri pomeriggio presso l'atrio “Paolo Borsellino” della Biblioteca comunale Casa Professa.

Un luogo speciale dove ventiquattro anni fa si è tenuto l’ultimo discorso pubblico del giudice, barbaramente ucciso dalla vile mano mafiosa insieme con Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.
Un evento ancora una volta organizzato dall’associazione “Cittadinanza per la Magistratura”, dal titolo “25 giugno 1992-25 giugno 2016: ventiquattro anni dopo l'ultimo discorso di Paolo Borsellino - fare memoria viva, un impegno quotidiano”, dedicato a chi oggi non c’è più ed è stato in prima linea come Giovanni Palazzotto. “Quante volte - hanno ricordato gli organizzatori - abbiamo sentito Giovanni rivolgersi ai ragazzi ribadendo l’importanza di una memoria viva, quotidiana, affinché le commemorazioni non siano qualcosa di sterile. Anche per questo siamo qui oggi, per fare la nostra parte e dare anche voce alle famiglie vittime di mafia. Affinché nessuno venga dimenticato”. All’incontro, introdotto dalla lettura di Sofia Muscato e moderato dalla giornalista Gilda Sciortino, hanno partecipato proprio il professore Buttitta, Giuseppe Di Chiara (docente di diritto processuale penale), Matteo Frasca (Presidente dell'ANM Palermo), Alfonso Giordano (magistrato e Presidente della Corte d' Assise durante il maxiprocesso) e Giovanni Paparcuri (collaboratore dei dott. Falcone e Borsellino per l'informatizzazione del maxiprocesso ed anche autista di Rocco Chinnici).

Le testimonianze
Ad ascoltarli una trentina di persone. E’ questa, forse, l’amarezza più grande sottolineata dagli stessi relatori, non in maniera polemica ma per evidenziare quella sorta di “memoria assente” che va recuperata per arrivare ad un nuovo futuro. Futuro in cui credevano con convinzione proprio Giovanni Falcone e Paolo Borsellino basando la speranza sui giovani.
“Dove sono le persone? - si chiede amaramente Giovanni Paparcuri - Noi vediamo tante facce note ed è comunque giusto andare a portare la propria testimonianza, ma resta il dispiacere. Per noi che allora eravamo presenti testimoniare diventa anche un dovere e il ricordo va fatto per chi oggi non c’è più ma anche per chi è sopravvissuto. Lasciamo stare me ma ricordiamo Antonio Vullo e gli altri 14 sopravvissuti in Italia che hanno la sola colpa di essere rimasti in vita nelle stragi”. L’ex collaboratore informatico di Falcone e Borsellino oggi è motore, in Procura, di un progetto della lavoravano i due magistrati del pool. “Il mio rapporto con Borsellino nasce il 29 luglio 1983 quando stavo per entrare in sala operatoria - ha ricordato - lui appoggiò la mano nel mio petto. Fino a quel momento non avevo sentito dolori ma quando mise quella mano fu come se mille spilli entrarono nel petto. Lui non poteva sapere. E quel contatto mi rimase impresso, così impresso che tanto si spese anche per me”. Paparcuri ha poi raccontato alcuni aneddoti che lo hanno visto partecipe accanto a Paolo Borsellino, “un giudice che aveva una grandissima umanità e che faceva il proprio lavoro con coscienza”. Oggi si trova impegnato al museo presso il Palazzo di Giustizia. “Ogni giorno vedo ragazzi arrivare. C'è chi viene per ascoltare, informarsi e si commuove e c'è chi viene per farsi il selfie dentro la stanza di Falcone o Borsellino. Noi dobbiamo comuque fare la nostra parte perché non possiamo prenderci in giro, perché la mafia non è stata sconfitta, anche se l'abbiamo combattuta e la stiamo combattendo”.



Il maxiprocesso

Chi in passato è stato protagonista assoluto di quella lotta è Alfonso Giordano, Presidente del “Processo del secolo” contro Cosa nostra, ovvero il maxiprocesso. Un procedimento dalle proporzioni enormi con 475 imputati (poi scesi a 460 nel corso del processo), con circa 200 avvocati difensori e pesanti condanne (19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di carcere).
“Il punto di partenza di quella lotta fu proprio il giorno della sentenza, il 16 dicembre 1987 dopo un dibattimento durato 22 mesi – ha ricordato Giordano – Lavoravamo in tutti i giorni della settimana. Per Cosa nostra fu un colpo terribile. Fu il trionfo dell'istruttoria di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e del pool e certo possiamo dire che in questi trent'anni trascorsi il tempo non sia passato invano. C'è stata un'innovazione nella nostra Sicilia se ricordiamo il terrore e l'avvilimento di quegli anni in cui c'era un morto al giorno. Oggi non è più così ma non possiamo dimenticare anche per dimostrare che chi è morto non lo è stato invano”. Giordano ha ricordato il commiato che Borsellino tenne a Marsala il 4 luglio 1992, appena 15 giorni prima della strage, quando disse di “sentirsi cambiato e di aver perso l'entusiasmo che lo aveva sempre animato a seguito della tragica fine dell'amico e collega Falcone. In quel momento, infatti, il nostro orizzonte diventava sempre più oscuro e negli occhi di tutti passavano le immagini dello schianto e delle lamiere contorte di Capaci. Una strage terrificante, apocalittica e cruenta. Poco dopo ci fu via d'Amelio, per certi versi ancora più apocalittica. In quel momento è scattata una voglia di riscatto, di consapevolezza civile, un nuovo spirito di lotta traendo ispirazione dal coraggio che questi uomini, che celebriamo e ricordiamo, hanno avuto. Dobbiamo avere ancora in noi questa fede”. Nel suo intervento Giordano ha quindi voluto dedicare un pensiero ad Agnese Borsellino, “la cui umanità era disarmante nonostante la sua sofferenza”. Il ricordo del giudice Borsellino è proseguito con il professore Buttitta che ha svelato un lato culturale del magistrato: “Era un biblista, studioso dell'antico testamento. Amavamo entrambi il Siracide. In quel testo si lancia un messaggio che si può sintetizzare nel concetto 'Unus homo, nullus homo'. Una massima che si usa soprattutto in ambito giuridico, per rappresentare l'importanza della dimensione sociale nell'esperienza umana. Nessuno di noi può far fronte a tutto, ma assieme agli altri esseri umani, opportunamente organizzati, è possibile trovare la soluzione di molti problemi pratici. E rimasi profondamente colpito quando una volta gli chiesi perché facesse questo lavoro lui mi rispose: 'lo faccio perché si compia la volontà della Terra che dà i suoi frutti per tutti'.

Perché fare memoria
E' stata poi la volta di Matteo Frasca, presidente dell'Anm Palermo, che oltre a spiegare come è nata l'idea di realizzare il Museo della Memoria (“Quegli uffici erano colpevolmente stati dimenticati, lasciati nell'oblio e si doveva restituire la memoria a dei luoghi che possono diventare opportunità di crescita per tanti che all'epoca non c'erano”) ha ricordato il valore di Falcone e Borsellino. “La grandezza di Giovanni e Paolo non era solo nel maxiprocesso – ha detto – C'è un processo che tutti dovrebbero ricordare, ovvero il processo Spatola. E' lì che nasce il metodo Falcone con lo studio dei flussi di denaro. Così come si dovrebbe conoscere il processo sull'omicidio di Emanuele Basile su cui indagò Paolo Borsellino. Noi non dobbiamo perdere la speranza, tanto è stato fatto e tanto si deve fare affinché, come diceva Giovanni, quel fatto umano che è la mafia possa avere una fine”.
Non sono mancati poi i momenti di emozione, quando dal pubblico hanno preso la parola Vincenzo ed Augusta Agostino ("Io ho consegnato allo Stato un criminale che ha ucciso la mia famiglia dopo 27 anni, ma a Palermo nessuno lo conosceva?"), Massimo Sole e Graziella Accetta Domino ("Quello che ci uccide di più è essere stati abbandonati dallo Stato!"), con semplici parole capaci di far sentire il proprio “grido di verità e giustizia” per i propri familiari. Ed è anche per questo che assume più valore la riflessione dell'intervento del professore Di Chiara, che ha sottolineato l'importanza di incontri come questo. “Se da una parte la trappola della retorica può essere dietro l'angolo ma è un dato di fatto che certi momenti, quello che si apprende ascoltando certe testimonianze è troppo importante. Per questo credo che non possiamo farne a meno. Quindi serve il fare ma serve anche la riflessione”.

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