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di Francesca Mondin

Presentazione del libro ''Dovere, non coraggio''
“Io non ho paura di andarmene perché arriverete voi dove io non sono riuscito ad arrivare, chi ha perso le gambe sa che ci saranno sempre delle mani che sosterranno la sua esistenza e il sostegno più grande porta il sorriso, è così che voi mi dovete ricordare perché anche io sorriderò prima di andarmene, felice di aver fatto quello che è giusto, un bell’abbraccio il vostro papà”
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E’ così che Mihaela Chiara Martorana, studentessa, autrice del libro Dovere, non coraggio” (edito da Exbook.eu Publisher), si è immaginata la conclusione della lettera che Paolo Borsellino avrebbe potuto scrivere ai figli negli ultimi giorni prima della strage di Via D’Amelio. A dar voce a queste righe è il fratello del magistrato ucciso, Salvatore Borsellino, ieri pomeriggio durante la presentazione del libro alla “Casa di Paolo” nella Kalsa. Casa in cui lui, la sorella e Paolo trascorsero la loro infanzia. “Queste cose non le ha scritte Paolo - afferma Salvatore con un filo di voce per l’emozione - ma avrebbe potuto farlo sicuramente”. Infatti “Lucia, la figlia, racconta che quando riuscì a raggiungere ciò che rimaneva del padre in quell’inferno gli volle pulire il viso e dice che sotto quei baffi lui sorrideva. Non so se è vero ma so che Paolo volle far vedere alla figlia il suo sorriso”.
L’ambiente famigliare e accogliente del centro e la voce di Salvatore che tanto ricorda quella del fratello, fanno sembrare quasi reali e tangibili le parole scritte nelle pagine di questo volume. Un libro che cerca di far entrare il lettore in contatto intimo con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ricordando la parte umana di questi due uomini per troppo tempo chiamati “eroi” quasi spersonalizzandoli. La giovane autrice decide di farlo attraverso delle ipotetiche lettere che i due amici si scambiano grazie all’aiuto di un giovane studente, Libero e di un’agenda. Alternando ai dialoghi anche poesie alla Spoon River che danno voce anche ad altre vittime cadute sotto i colpi della mafia.
Attraverso questo “dialogo, - spiega la studentessa di giurisprudenza - i discorsi si incontrano in più punti comuni: giustizia, sacrificio e quotidianità”. E così grazie all’immaginazione Mihaela Chiara Martorana porta il lettore ad ascoltare i ricordi di questi due uomini ripercorrendo la loro infanzia, fatti storici come il maxi processo e gli anni più bui che si conclusero con le due stragi. “Ci insegnano ad amare il quartiere dove si vive - dice l’autrice - nella corrispondenza parlano anche della loro infanzia e dei giochi nel quartiere”.


Questo amore per la propria terra è testimoniato anche da Salvatore Borsellino che ricorda una delle celebri frasi di Paolo scritta all’entrata della vecchia farmacia di famiglia dove ora c’è il centro per bambini: “Palermo non mi piaceva per questo ho imparato ad amarla perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.
“Aprire questa casa ai giovani della Kalsa significa per me far tornare Paolo nel suo quartiere da vivo, - aggiunge Salvatore - i cimeli non servono, qui è un luogo diverso di memoria, la gente viene a trovare l’amore di Paolo”.
I pensieri che si scambiano i due protagonisti affrontano anche temi sui quali ancora ci sono solo verità parziali a livello giuridico o sulle quali ci sono ancora processi in corso. Come “la possibilità di strani intrecci tra apparati dello stato e apparati di Cosa nostra. - racconta Mihaela Chiara - sono dialoghi che evidenziano anche ipotesi, brutti presentimenti ed allo stesso tempo si servono delle testimonianze dei colleghi che li hanno preceduti come Pio La Torre, Livatino e molti altri”.
“Lo stesso Riina dal carcere opera di Milano, con Lorusso fa capire che ci sono alcuni “misteri fittissimi” che riguardano soprattutto la strage di Capaci - ricorda il giornalista di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari - Alcuni di questi misteri Riina dice di averli condivisi solo con un altro uomo d’onore, il boss poi pentito Totò Cancemi, il capo-mandamento di Porta Nuova che prese il posto di Pippo Calò, il “cassiere” della mafia, morto nel 2011. Il quale poco prima di morire aveva dichiarato, riguardo le stragi, che Riina venne preso per la manina".
“C’è il secondo processo sulla strage di Capaci che si avvia alla conclusione - aggiunge il giornalista - il pm Stefano Luciani, pubblica accusa assieme a Lia Sava e Onelio Dodero ha affermato che ci sono elementi che possono far pensare a soggetti esterni a Cosa nostra anche se fino a questo momento non ci sono le prove”.
"Queste affermazioni assieme ad altri interrogativi ancora senza risposta sulla strage di Via D’Amelio, sulla sparizione della agenda rossa e tanti altri episodi rimasti nell’oblio in questi anni di storia italiana ci devono perlomeno far riflettere”.
Conoscere, cercare, capire per poi appunto riflettere e poter passare all’azione in modo responsabile. “A me piace collegare il concetto di responsabilità personale al ciclo di meditazione che si fa quando si legge un testo biblico - spiega l’autrice - lezio, oratio e actio, senza l’azione il ciclo non è chiuso”.

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