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capaci web1Protocollo Fantasma
di Walter Molino
Un verbale del 1987 di Antonino Calderone con Giovanni Falcone smonta un punto cardine del processo Capaci bis.

“Quello di Capaci fu un attentato artigianale. Pietro Rampulla fu scelto come artificiere per la strage di Capaci solo perché l’artificiere di Cosa nostra era in galera”. Parole tombali di Onelio Dodero, pubblico ministero nel processo Capaci bis che si sta concludendo a Caltanissetta. Un’affermazione che vorrebbe depotenziare le connessioni con quegli  ambienti della destra eversiva, di cui Rampulla era un noto esponente, che di dritto o di rovescio finiscono sempre per incrociare il piano stragista di Cosa nostra. La convinzione del pm sembra echeggiare le disarmanti dichiarazioni rese in aula da Giovanni Brusca: “A Capaci l’artificiere doveva essere Rampulla; doveva essere lui ad azionare il telecomando finale, ma aveva un impegno e non è potuto venire. Ha chiesto se poteva essere libero, e io gli ho detto: Vai che so io quello che devo fare”.
Quindi non solo Rampulla (secondo Dodero) era un semplice sostituto dell’artificiere titolare, ma all’ultimo momento, proprio il giorno della strage che avrebbe eliminato il nemico numero uno di Cosa nostra, chiese qualche ora di permesso per motivi familiari (secondo Brusca). Salvo poi presentarsi fresco e pettinato alla festicciola per brindare al successo. In una requisitoria che è già un cult tra gli appassionati – dall’ispettore Callaghan a Paperinik, passando per la Spectre – quella dell’artificiere per caso è una delle migliori. E non tanto perché Pietro Rampulla, militante di Ordine nuovo, neonazista dichiarato, mafioso della famiglia di Mistretta, fosse legato a doppio filo a Nitto Santapaola, ma soprattutto perché in fatto di esplosivi Cosa nostra lo considerava una vera e propria autorità. Non solo a Catania ma anche nelle province di Trapani (vedi faida di Alcamo nel 1991) e Palermo, così come oltre lo stretto. Come dire: se non lui, chi altro? Voci, storie, leggende, direbbe qualcuno. E invece a cantare è sempre la carta. Quello che vedete è un verbale di interrogatorio del pentito Antonino Calderone, fratello di Pippo Calderone, componente della cupola regionale di Cosa nostra, assassinato nel 1978 su ordine di Santapaola. Il verbale è datato 9 aprile 1987 e viene redatto a Marsiglia, dove Calderone è detenuto. A fianco del giudice istruttore Michel Debacq sono seduti Giovanni Falcone, Gioacchino Natoli e l’allora vice questore aggiunto Antonio Manganelli. Con quell’interrogatorio Calderone inizierà una collaborazione che consentirà di arrestare oltre duecento mafiosi. Ma di quel verbale a noi interessano poche righe.
“Nell’estate del 1978 fui avvertito da mio fratello che aveva notato qualcosa di strano all’interno della sua auto. Io stesso potei vedere che sotto il sedile di guida c’era un pacchetto che potei giudicare dall’aspetto dinamite. Accanto al pacchetto c’era una scatola. Mi resi conto immediatamente che quel gesto non poteva provenire che da Nitto Santapaola. Mio fratello allora gli telefonò per vedere la sua reazione. Santapaola si incontrò con mio fratello e gli disse che avrebbe fatto intervenire qualcuno che se ne intendesse di esplosivi. E a intervenire fu Pietro Rampulla, vice-rappresentante della famiglia di Mistretta e implicato in episodi di terrorismo di destra. Rampulla si accorse subito di avere a che fare con un ordigno esplosivo azionato da un telecomando. Vidi che con un’estrema facilità Rampulla disinnescò l’ordigno, il che fece sorgere dei dubbi nell’animo di mio fratello poiché pensò che una tale conoscenza dell’ordigno poteva voler dire che quello ne era l’artefice”.
L’episodio risale al 1978. Chi glielo doveva dire a Pietro Rampulla, dopo un’onorata carriera di mafioso e neonazista, che nel 2016 si sarebbe guadagnato i galloni di artificiere per caso? Poi dice la riconoscenza.

Tratto da: facebook.com

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