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contrada-bruno-webdi AMDuemila - 14 aprile 2015
Bruno Contrada (in foto), ex numero tre del Sisde, non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all'epoca dei fatti (1979-1988), il reato non "era sufficientemente chiaro". A stabilirlo la Corte europea dei diritti umani.
I giudici di Strasburgo, a differenza di quanto fatto da quelli italiani, hanno dato ragione all'ex poliziotto, affermando che i tribunali nazionali, nel condannare Contrada, non hanno rispettato i principi di "non retroattività e di prevedibilità della legge penale". Nella sentenza i giudici affermano che "il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un'evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni '80 e consolidatasi nel 1994 e che quindi la legge non era sufficientemente chiara e prevedibile per Bruno Contrada nel momento in cui avrebbe commesso i fatti contestatigli". La Corte di Strasburgo sostiene anche che i tribunali italiani "non hanno esaminato approfonditamente la questione della non retroattività e della prevedibilità della legge" sollevata più volte da Bruno Contrada, e che non hanno quindi risposto alla questione "se un tale reato poteva essere conosciuto da Contrada quando ha commesso i fatti imputatigli". Contrada aveva chiesto alla Corte di accordargli 80 mila euro per danni morali, ma la Corte ha stabilito che lo Stato italiano dovrà versargliene solo 10 mila. I giudici di Strasburgo hanno respinto anche la richiesta di riconoscergli quasi 30 mila euro per le spese processuali sostenute a Strasburgo, ordinando all'Italia un risarcimento limitato a 2.500 euro.

Arrestato con l’accusa di concorso per mafia sulla base delle dichiarazioni di diversi pentiti (tra i quali Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Giuseppe Marchese e Salvatore Cancemi) nel 2007 per Contrada arriva la definitiva condanna a dieci anni di reclusione, dopo un processo lungo 15 anni. Contrada venne arrestato il 24 dicembre 1992. In carcere rimase per trentuno mesi malgrado ricorsi presentati perfino alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Il 12 aprile del '94 iniziò il primo processo a suo carico, e il 19 gennaio del '96, al termine di una requisitoria protrattasi per 22 udienze, il Tribunale inflisse all'ex poliziotto 10 anni di reclusione e tre di libertà vigilata. Il verdetto di primo grado fu però ribaltato dalla Corte d'Appello di Palermo che nel 2001 assolse Contrada. Ma il 12 dicembre del 2002 la Cassazione riaprì il caso, annullando l'assoluzione e disponendo un nuovo giudizio presso la Corte d'Appello di Palermo che, l'anno scorso, pronunciò la sentenza di condanna poi confermata in Cassazione, secondo la quale l'ex numero tre del Sisde è colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio". Contrada veniva infatti accusato di avere "contribuito alle attività e agli scopi criminali dell'associazione mafiosa denominata Cosa nostra, fornendo 'ad esponenti della commissione provinciale di Palermo di Cosa nostra notizie riservate, riguardanti indagini ed operazioni di polizia da svolgere nei confronti dei medesimi e di altri appartenenti all'associazione'". Secondo l'accusa, l'ex funzionario del Sisde avrebbe iniziato i suoi rapporti con Cosa Nostra tramite il conte Arturo Cassina, grande appaltatore palermitano, amico del boss Stefano Bontate. Dopo l'uccisione di Bontate nel 1980, Contrada avrebbe poi mantenuto contatti con i nuovi potenti di Cosa Nostra, i corleonesi di Totò Riina.
Di lui parlò anche il pentito Gaspare Mutolo quando, il 1° luglio 1992, venne interrogato da Paolo Borsellino. In seguito, quello stesso giorno, quando il giudice tornò da Mutolo dopo essere andato al Ministero ad incontrare il neo ministro dell'Interno Mancino, riferì al pentito di aver incontrato proprio Contrada (che sapeva della sua collaborazione top secret) insieme all'ex Capo della Polizia Parisi. Contrada, però, ha sempre sostenuto di non aver mai incontrato Borsellino quel giorno, a pochissime settimane dalla strage di via D'Amelio.
L'ex membro del Sisde si era rivolto alla Corte di Strasburgo nel luglio del 2008 affermando che in base all'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce il principio di "nulla pena sine lege", lui non avrebbe dovuto essere condannato perchè all'epoca dei fatti che gli sono stati imputati il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso non esisteva. L'ex poliziotto e agente segreto ha sostenuto la stessa tesi anche davanti ai tribunali italiani, ma questi ultimi l'hanno sempre rigettata. Questa è la terza volta che la sua vicenda viene trattata a Strasburgo. Nel primo caso i giudici stabilirono che la sua detenzione, tra il 24 dicembre 1994 e il 31 luglio 1995, non aveva violato il suo diritto alla libertà. Contrada vide invece accolto nel 2014 il suo secondo ricorso, presentato nel gennaio del 2008, in cui affermava di essere stato sottoposto a trattamento inumano e degradante. I giudici stabilirono che, visto il suo stato di salute, le autorità avrebbero dovuto concedergli i domiciliari appena lui ne fece richiesta e non dopo nove mesi e sette domande.

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