di AMDuemila - 24 febbraio 2015
"Quando ero detenuto in Inghilterra ricevetti una visita di alcune persone dei servizi segreti italiani, che mi chiesero se potevano avere un contatto a Palermo". A dirlo è il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo (in foto), negli anni '70 e '80 boss delle famiglie di Cosa Nostra di Altofonte (Palermo), ascoltato come teste in videoconferenza dal carcere nel processo a Milano a carico di Filippo Marcello Tutino, ritenuto il basista della strage di via Palestro del 27 luglio 1993.
Alla visita "avvenuta tra il 1988 e il 1989" nel carcere inglese dove era detenuto per traffico di droga, ha spiegato il pentito Di Carlo rispondendo alle domande dell'avvocato Flavio Sinatra, difensore di Tutino, avrebbe partecipato l'allora capo della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera.
"Li ho messi in contatto con l'imprenditore Ignazio Salvo - ha proseguito - e poi con Salvatore Riina". Di Carlo ha riferito anche di aver "messo in contatto" gli agenti dei servizi segreti anche con Antonino Gioè, mafioso coinvolto nella strage di Capaci che si suicidò in carcere.
"Quando ho lasciato Cosa Nostra non si parlava di stragi - ha raccontato ancora il pentito - era un'associazione un po' più 'equilibrata'. Il collaboratore di giustizia ha poi spiegato che "qualcuno suggeriva" le stragi di mafia dei primi anni '90, che avevano l'obiettivo di destabilizzare il sistema, mandare via Falcone da Palermo e contrastare il regime del 41 bis".
Durante l'udienza del processo è stato ascoltato come teste, sempre in collegamento video dal carcere, anche l'ex estremista di destra Paolo Bellini.
"Dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino - ha ribadito Bellini - incontrai il maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta e chiesi di potermi infiltrare in Cosa Nostra".
Secondo Bellini, diede "l'ok all'operazione" il generale Mario Mori, imputato nel processo sulla trattativa Stato-mafia. L'uomo ha riferito poi di un colloquio con Gioè sul "cambio di strategia" di Cosa Nostra negli anni '90, che avrebbe portato a colpire non più le istituzioni ma il patrimonio storico e artistico italiano. Faceva parte della strategia, secondo quanto hanno riferito alcuni collaboratori di giustizia, il progetto di un attentato alla torre di Pisa. "Gioè mi disse 'che ne diresti se un giorno scomparisse la torre di Pisa", ha riferito Bellini in aula. "Io gli risposi - ha concluso - che avrebbero creato un danno notevole al Paese anche a livello internazionale".
Fonte ANSA