La raccolta tra le cosche raccontata dal pentito Vito Galatolo
di Aaron Pettinari - 21 novembre 2014
Una “questua” in contanti. Così i principali clan offrirono il proprio contributo per acquistare l'esplosivo per uccidere il pm Nino Di Matteo dopo l'ordine di morte emesso nel dicembre 2012 da “Diabolik” Messina Denaro. In poco tempo fu raggiunta la somma di 600 mila euro. Quanto basta per acquistare l'esplosivo necessario per un nuovo “grande botto”. A parlare del progetto d'attentato è il neopentito Vito Galatolo, investito dell'incarico al summit. L'ex boss dell'Acquasanta ha anche spiegato che erano stati raccolti centocinquanta chili di tritolo, nascosto in un bidone in qualche campagna di Monreale, dove un favoreggiatore del clan dell'Acquasanta possiede alcuni terreni.
Gli investigatori della Dia stanno perlustrando l'intero territorio con tutte le strumentazioni necessarie anche perché il pentito ha spiegato che l'esplosivo fu diviso e dislocato in più parti proprio per evitare che venisse scoperto. Sulla provenienza dell'esplosivo le indagini, ovviamente, restano top-secret. Galatolo al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, che da giorni ha verbalizzato le sue dichiarazioni, ha parlato di “entità esterne interessate all'attentato” in quanto il pm “è andato oltre”. Parole che fanno sobbalzare e che riportano alla memoria le stragi di Capaci e via d'Amelio.
Rafforzata la scorta
Nella giornata di ieri si è riunito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto Francesca Canizzo ed è stata data attuazione a quelle misure di sicurezza per il magistrato dopo il comitato nazionale che si è tenuto al Viminale nei giorni scorsi con il ministro degli Interni Angelino Alfano che ha garantito l'utilizzo di ogni dispositivo esistente a livello internazionale.
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