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vitale-salvo-c-paolo-bassanidi Salvo Vitale - 1° novembre 2014
Ci sono alcune certezze non discutibili che sinora hanno caratterizzato l’essere di “sinistra”, demolite da Renzi, che suggeriscono interrogativi cui non è facile rispondere. Esempio:  è il caso di perdere tempo sull’articolo diciotto, considerarlo un tabù, un ostacolo alla ricerca di nuove norme sul lavoro per essere “credibili” in Europa, da una parte e invece, dall’altra, considerarlo l’ultima barriera fragile che è rimasta al lavoratore per non farsi licenziare senza giusta causa, l’ultima difesa, resa più debole dopo la riforma Fornero, che separa il lavoratore dall’ingordigia e dalla prepotenza del padrone? E’ stato detto che il suo valore è simbolico perché di fatto esso coinvolge da tremila a seimila persone l’anno, delle quali solo poche riescono a vincere le cause di lavoro. Ma, proprio per questo, è il caso di chiederne l’abolizione e di dare ai sindacati l’occasione per una levata di scudi? Le reciproche conclusioni sul nulla sono: “Tanto vale lasciarlo o, tanto vale abolirlo o modificarlo”.

Con la precisa sensazione che sotto ci sia il solito bluff all’italiana per far credere all’Europa che ci muoviamo seguendo indicazioni rigide che ci dovrebbero fare uscire la crisi, mentre, in realtà,  in questa crisi ci siamo dentro , siamo gli ultimi in Europa nelle previsioni di crescita del PIL e, ma siamo i primi per il tasso di corruzione, dove, addirittura abbiamo raggiunto il terzo posto nel mondo, dopo la Turchia e il Messico. I roboanti annunci renziani non bastano e non possono bastare davanti ai numeri. Altrettanto equivoca sembra la posizione di Draghi, governatore della BCE, secondo il quale la ripresa è possibile solo se si fanno riforme strutturali: poniamo che queste riforme, in Italia, siano quelle della legge elettorale, del cambio di funzioni del senato, dell’abolizione delle province, della scuola, della giustizia ecc., sembra poco probabile, a parte specifici settori, che tutto questo si trasformi in soldoni, che comporti aumento della produttività e nuovi posti di lavoro. Diverso già sarebbe, ma qua i soldi ci sono, un progetto di abolizione di una serie di tasse vessatorie per chi vuole fare impresa, di snellimento di pratiche burocratiche, permessi, certificati, licenze, iscrizioni, ricevute, multe salate per incredibili omissioni, come quella di non portare il berrettino o i guanti per chi lavora in salumeria, o quella di non lavorare con zoccoli e sandali per i muratori, o di  pagare  i contributi INPS per chi, essendo in pensione, vuole aprire un’attività commerciale, o addirittura per figli e moglie, se sorpresi a raccogliere olive col padre. I soldi stanno altrove, soprattutto in parlamento o nelle banche estere, non nel mondo del lavoro, che continua a restringersi perché chi ha i soldi non vuole investirli in Italia. E il bluff continua con la promessa di abolire i supplenti e di assumere 150 mila insegnanti. Come si sostituisce chi è assente?  Con un insegnante che supplisca qualsiasi docente assente? E cioè con un supplente universale? In questa Italia del bluff, di cui Berlusconi è stato l’insuperabile espressione, Renzi prova a imitare il suo modello, ma, non avendo il controllo totale dei mezzi di comunicazione non può far credere a tutti, come faceva il suo maestro, capace, a parole, di procurare dieci orgasmi al giorno alla sua ragazzina lesbica Pascale. Lo slogan di riferimento è sempre lo stesso: l’importante non è fare, ma far credere di fare. Il bluff continua nell’annuncio di un taglio delle tasse di 16 miliardi di euro: dove li prenderà?: la risposta è  “dalla lotta all’evasione”: si ipotizza così un introito sul cui incasso non esistono alcune garanzie e non sono stati individuati efficaci rimedi.  Ancora un bluff nella strombazzata abolizione delle province, sostituite da enti con le stesse funzioni, ma non elettivi. Il restringimento degli spazi di democrazia e di consenso elettorale proseguono nel rifiuto delle preferenze, nel premio di maggioranza, nell’abolizione del senato: in pratica l’elettorato servirà solo per tracciare una croce sulla scheda, una sorta di delega totale al premier che penserà a far tutto lui. Anche l’elezione del premier e del presidente della repubblica, quanto prima sarà diretta, con l’intenzione di far passare l’idea che il voto popolare attribuisce al premier più poteri. Non parliamo dei sindacati, ormai ritenuti un residuo ottocentesco da accantonare o cancellare dalla storia. Sull’euro il gioco è sempre quello di “un colpo al cerchio e un colpo alla botte”, cioè si criticano i vincoli del 3%, ma ci si affretta a rispettarli e ad obbedire ai diktat della Merckel. Per non parlare delle leopoldate sulla fine del “posto fisso”, come se fosse questo l’ostacolo al collasso economico italiano. I posti fissi ci sono e continuano ad esserci e sono quelli che offrono un minimo di garanzia per costruire una famiglia, possedere una casa, guardare al futuro. E non nascondiamoci sulla falsa affermazione che il costo del lavoro in Italia è alto e che questo fa salire i prezzi, il valore economico delle merci:  i lavoratori tedeschi sono meglio retribuiti e producono meglio. Il problema è invece nell’iniqua distribuzione delle ricchezze, nei spaventosi stipendi a manager e dirigenti, i meglio pagati d’Europa, Il tetto agli aumenti oltre i 300 mila euro fa solo ridere, come fa ridere amaro, come  fa ridere l’ipotesi che ogni tanto si affaccia del “contributo di solidarietà”: cioè i ricchi dovrebbero essere “solidali” con i poveri e dare spontaneamente, ma per legge del governo, un’elemosina per non farli morire di fame. Mai toccato un così alto numero di disoccupati che, nel sud è più drammatico, perché al minimo decollo di un’attività economica interviene o la mafia a chiedere il pizzo o la magistratura a confiscare tutto con il sospetto di collusioni mafiose. I posti di lavoro sono lì, sotto i nostri occhi, nelle campagne abbandonate, dove nessuno vuole più lavorare perché qualsiasi politica agricola è stata abbandonata e ci si limita a dipendere dalle importazioni a basso costo e di bassa qualità dei prodotti dall’estero. I soldi sono nell’evasione fiscale, ma anche nelle spese militari per missioni all’estero o per acquistare aerei onde esibire una politica di potenza che suscita  qualche ironico sorriso. Rimane un’ultima valutazione sugli 80 euro, che non hanno comportato, come si sperava, un aumento dei consumi, ma un buco nelle casse dello stato, che bisognerà colmare cercando altre entrate là dove c’è ormai ben poco da spremere, cioè nelle imposte indirette. Renzi strombazza il suo 41% delle europee spacciandolo come  consenso a governare e facendo  passare il significato di un’elezione europea per quello di un’elezione nazionale. Anche qua il bluff: il 41% equivale a 11 milioni di voti, tanti quanti ne aveva preso Forza Italia alle europee di cinque anni prima: considerato che gli elettori sono 49 milioni, di cui solo 29 milioni sono andati a votare, circa il 58%, hanno votato per il PD, o, secondo Renzi per lui solo il 19% egli elettori. Il partito bersaniano del 21% andava già meglio.
 Siamo sull’orlo di una demagogia pura: I cosiddetti poteri forti, azionisti, capitalisti, grandi imprenditori, politici di lungo corso, centrodestra berlusconiano, massoneria, mafia, hanno trovato l’utile idiota, il cavallo di Troia,  con cui realizzare il vecchio programma piduista di Licio Gelli con il consenso di una residua sinistra che ormai non si può più definire tale. Il tutto spacciato per riformismo, come il nuovo che avanza contro il conservatorismo, che è quello che vuole “conservare” un minimo di ideali, come capacità di governare con nuovi parametri  nel terzo millennio, ovvero con quei parametri che si usavano nel Medioevo, con la riproposizione della piramide fatta da vassalli, valvassori, valvassini, militi, servi della gleba.

Foto © Paolo Bassani

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