Una “rete operativa antimafia” contro le mafie transnazionali
di Miriam Cuccu - 7 agosto 2014
Beni immobili, veicoli e conti bancari in Austria ed Estonia, quote societarie e riciclaggio di denaro sporco in Germania e in tutto il Nord Europa. Fino allo spaccio di droga, principale fonte di guadagno illecito in grado di arrivare sui mercati dei cinque continenti. La globalizzazione investe tutti i settori sociali ed economici e le mafie si tengono al passo coi tempi.
Secondo la relazione della Dia per il secondo semestre del 2013 si parla ormai di organizzazioni criminali che “hanno assunto una ‘dimensione transnazionale’”, “fino a travalicare i confini politici e geografici di riferimento” e integrandosi “con ogni realtà criminale tipica dei diversi Paesi d’origine”. Così con Cosa nostra agrigentina esistono “consolidati rapporti criminali nel Nord America e connessioni ancora attuali con il ramo canadese dei Rizzuto”. Mentre dall’Ucraina all’Albania, passando per il Kenia e Dubai, si assiste ad “un sodalizio contiguo alla criminalità organizzata calabrese” soprattutto reggina. Senza contare la Colombia e tutti i paesi del Centro America, dove la ‘Ndrangheta gode di una pressochè totale supremazia nel settore del narcotraffico. L’ultimo allarme lanciato dalla Direzione investigativa antimafia riguarda i Paesi Bassi, dove sarebbe grave e concreto il rischio “che le ‘ndrine possano dar vita ad un processo di ‘colonizzazione’ territoriale, con il conseguente ‘inquinamento’ delle realtà imprenditoriali”. Qui le cosche già da tempo controllano il porto di Rotterdam, dove passa il 30 per cento della cocaina proveniente dalla Colombia – circa 36 mila chili arrivano ogni anno sulle navi, nascosti nei container di frutta – grazie anche ad un’alleanza strategica con la mafia albanese.
Per questo, prosegue la relazione, è più che mai necessario “promuovere una costante, reale ed efficiente cooperazione internazionale” soprattutto “attraverso forme di collaborazione operativa diretta ed immediata”. Sono le operazioni antimafia più recenti a confermarlo, quando a seguito di importanti blitz – portati a termine grazie alla collaborazione tra forze dell’ordine locali ed estere – è emersa l’esistenza di rapporti contigui e duraturi con la mafia calabrese, con Cosa nostra americana, con i narcos del Latino America (solo a febbraio è stato scoperto un traffico di droga sull’asse Calabria-New York). Lo conferma la massiccia presenza di boss mafiosi che trascorrono la propria latitanza in tra Colombia e Santo Domingo come Roberto Pannunzi, fino al suo arresto – luglio 2013 – importante anello di congiunzione tra i narcotrafficanti e le famiglie calabresi e siciliane. Solo un mese prima, un broker di spicco al servizio della ‘Ndrangheta era stato fermato sempre in Colombia, a Medellin. E l’elenco potrebbe continuare.
Un’azione di contrasto, questa, che gli Stati Membri e l’Unione Europea non possono mettere in secondo piano, e “per il futuro – scrive ancora la Dia – sono invitati a rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia anche mediante la realizzazione di una ‘rete operativa antimafia’” con l’obiettivo di scambiare informazioni, localizzare i patrimoni illeciti e contrastare l’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici. Tale rete operativa è già in via di sviluppo, nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020, per costituire “una sorta di trasposizione, in dimensione europea, del cosiddetto ‘metodo Falcone’, cioè il coordinamento delle organizzazioni mafiose, normalmente frammentate tra più centri di investigazione” che il giudice già ai tempi dello storico pool antimafia di Palermo aveva individuato come indispensabile punto di partenza per una seria azione di contrasto al crimine organizzato. Lo scorso ottobre il Parlamento europeo aveva approvato il testo unico antimafia presentato dal Crim, che introduceva nuove direttive per la lotta alla corruzione, al narcotraffico e al congelamento dei patrimoni illeciti. Un risultato storico al quale devono fare seguito nuovi passi avanti.
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