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guardare-attraversoDalle invettive di Giuseppe Sottile contro il processo sulla trattativa all’inaugurazione dell’anno giudiziario
di Lorenzo Baldo - 25 gennaio 2014
Strano paese l’Italia. Sempre più saturo di paradossi. Non passa giorno che non si rimanga basiti nel leggere esternazioni che ribaltano il senso della realtà. La giornata odierna non è da meno. Ma partiamo da una nota effettivamente vera. Il presidente della Corte di Appello, Vincenzo Oliveri, riferendosi al processo sulla trattativa durante il suo discorso all’apertura dell’anno giudiziario, sottolinea che “tra gli imputati figurano esponenti delle istituzioni e delle forze dell'ordine, ai quali si addebita di avere, con il loro comportamento, supportato l'azione intimidatrice di Cosa Nostra, esponenti del vertice mafioso dell'epoca e Ciancimino Massimo, che, con le sue dichiarazioni, ha apportato un rilevante contributo alle indagini”.

Pura verità. Poi però si passa al contrattacco. “Abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti del Capo dello Stato – evidenzia Oliveri –, per cui quando si è tentato di offuscare la sua immagine con il sospetto di sue interferenze in un grave procedimento in corso qui a Palermo, sospetti che i nostri giudici hanno dichiarato da subito totalmente infondati, sentiamo di dovergli rinnovare l’impegno, assunto col giuramento all’inizio del nostro lavoro, di fedeltà alla legge e alla Costituzione, di cui egli è supremo garante”. Non si capisce quale sia questo “debito di riconoscenza” nei confronti di Napolitano, né tanto meno quali siano i “sospetti” che sarebbero andati ad “offuscare” l’immagine del Presidente. Immagine, per altro, mai scalfita dagli stessi magistrati della Procura di Palermo. Ecco allora che si materializza di nuovo il ribaltamento dei fatti. Innanzitutto c’è da ricordare che
Golivieri-vinc-c-michele-naccari studio-cameraiorgio Napolitano è il presidente della Repubblica che ha parlato al telefono con l’ex ministro Nicola Mancino, attualmente imputato nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. Poi non va dimenticato che Napolitano è il presidente che, attraverso il conflitto di attribuzioni sollevato dal Colle (per le sue telefonate con Mancino, per altro fatte distruggere sotto sua richiesta, ndr), è a tutti gli effetti entrato a gamba tesa in quelle stesse indagini sulla trattativa. Ed è la stessa persona che, dopo essere stata citata dalla Procura di Palermo come teste al suddetto processo (in merito alla lettera che il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, deceduto per infarto a luglio 2012, gli aveva spedito prima di morire), ha avuto il coraggio di scrivere una missiva al presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, nella quale asseriva di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo”. Napolitano è anche il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura che a suo tempo ha aperto un procedimento disciplinare - del tutto illegittimo - nei confronti del pm Nino Di Matteo, tra i fondatori del pool che indaga sulla trattativa. In un altro Paese basterebbero questi fatti per replicare a chi parla di “debito di riconoscenza” o di “sospetti”.

Le farfalle dei protocolli
Per proseguire nell’Italia dei paradossi non poteva mancare quello dell’informazione. Sull’edizione di ieri del “Foglio” il noto opinionista Giuseppe Sottile si è lanciato in una personalissima e (per usare un eufemismo) del tutto “fantasiosa” ricostruzione di ciò che ruota attorno al processo sulla trattativa accusando quella che ha definito sottile-giuseppe“l’antimafia chiodata” che starebbe all’interno di un “cerchio magico”. Ma per rispondere con lo stesso taglio accusatorio dell’editorialista del quotidiano diretto da Giuliano Ferrara bisognerebbe forse ricordargli i suoi rapporti pregressi con l’avvocato Vito Guarrasi? Non è certo un dettaglio insignificante. Nella nostra storia contemporanea è scritto che tra le mani dello stesso Guarrasi, definito “consulente dei potenti”, sono passati i misteri d'Italia: i retroscena dello sbarco degli americani in Sicilia, la morte dell’ex presidente dell’Eni Enrico Mattei, la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il golpe Borghese, l'ascesa dell’imprenditore Eugenio Cefis, l'affare Sindona, la morte dell’ex presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, gli omicidi politici, fino ai rapporti tra Giulio Andreotti e Cosa Nostra. Se dovessimo quindi partire dal background del personaggio che si scaglia contro il processo sulla trattativa non avrebbe neanche senso proseguire. Restano le sue grossolane invettive nei confronti di Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Salvatore Borsellino, Massimo Ciancimino, Saverio Masi e Fabio Repici a qualificare la pochezza di argomentazione del Sottile. Che si ritrova a mescolare notizie reali come quella dell’incriminazione di Ciancimino jr per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro, a ricostruzioni del tutto “fantasiose” relative allo stesso De Gennaro. Che diventa miracolosamente colui che “costringe” la procura di Palermo “a incriminare il picciotto”. Il giornalista definisce frettolosamente Massimo Ciancimino un “truffaldo”, nonchè un “fabbricatore di prove inesistenti”, quando invece (al di là dell’episodio del pizzino su De Gennaro), grazie ai riscontri portati dal figlio di Don Vito, si è potuto aprire il processo sulla trattativa. Che ciancimino-massimo-web19lo stesso editorialista definisce, però, “privo di prove e di movente”. Per non parlare poi della personale ricostruzione da parte di Sottile del papello di Riina, così come della vicenda del maresciallo Masi che, a suo dire, sarebbe finita “nel binario morto delle querele e delle denunce per calunnia”. Allo stesso modo, a detta dell’opinionista del “Foglio, gli incontri in carcere di Beppe Lumia e Sonia Alfano con Provenzano, Cinà e Graviano rientrerebbero all’interno del “Protocollo Fantasma”. Un festival dell’assurdo. Non fosse altro perché si sta parlando di argomenti che riguardano la vita e la morte di determinate persone. Argomenti che dovrebbero invece essere fatti conoscere all’opinione pubblica nella giusta maniera. In un altro Paese non ci sarebbe il signor Sottile a scrivere che “Riina monumentalizza Di Matteo” attraverso quelle che invece sono vere e proprie condanne a morte. Dio non voglia che debba mai accadere qualcosa di grave a magistrati come lo stesso Di Matteo. Gran parte della responsabilità ricadrebbe inevitabilmente su quegli operatori dell’informazione che con il loro lavoro – volontariamente o sotto dettatura – hanno contribuito a creare i presupposti perché ciò possa avvenire.

In foto: l'apertura dell'anno giudiziario a Palermo (© Michele Naccari / Studio Camera), Giuseppe Sottile e Massimo Ciancimino

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