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2di Alessandra Spennati - 22 gennaio 2014
Conferenza presso l’istituto alberghiero di Otranto in ricordo delle stragi del ’92-93 con Saverio Masi, Sabrina Matrangola e Matilde Montinaro
Il 19 gennaio 1940 nasceva Paolo Borsellino: oggi avrebbe 74 anni.
Il 19 e 20 gennaio, in occasione di questa ricorrenza e nell’ambito degli eventi che si stanno svolgendo in Italia sotto l’onda della mobilitazione della società civile a sostegno degli uomini dello Stato che ricercano la verità sulla trattativa Stato-Mafia e sulla morte di Falcone e Borsellino,  nella provincia di Lecce si sono tenute una serie d’iniziative di divulgazione sui temi legalità ed impegno antimafia.
Lunedì 20 gennaio ha avuto luogo l’incontro-conferenza presso l’istituto alberghiero di Otranto I.P.S.S. E.O.A., promosso dal dirigente scolastico Prof. Luigi Martano e dalle Agende Rosse locali la cui referente è Anita Rossetti. Si inaugura con questa iniziativa un progetto dedicato all’educazione alla legalità e all’informazione antimafia che coinvolgerà l’istituto nei prossimi mesi e ha inizio in un momento altamente delicato della storia del nostro paese. L’evento si tiene in mattinata alla presenza degli alunni dell’istituto, degli insegnanti e di giornalisti locali accorsi anche per la presenza  del Maresciallo Saverio Masi attualmente a capo della scorta del pm Antonino Di Matteo. Saverio Masi proprio il 19 gennaio è stato protagonista di un’altra conferenza, questa volta nella cittadina di Galatina (Le), che ha costituito la sua prima uscita pubblica.

Si respira fermento per l’eccezionalità dell’evento, per la presenza degli importanti relatori e della stampa, per la diretta streaming che coinvolgerà anche il periodico d’informazione di Cosenza www.ilparlamentare.it e, infine, per il collegamento skype con Salvatore Borsellino che, nonostante gli ormai quotidiani impegni pubblici al grido di “Giustizia e Verità”, mai si nega ad eventi come questo, piccoli o grandi che siano, nazionali o locali, a maggior ragione se alla presenza dei giovani come in quest’occasione. Gli interventi saranno numerosi questa mattina perché tante le persone importanti a cui dar voce; si susseguiranno in successione come in lungo discorso mai interrotto e rivolto a chi, come molti giovani e giovanissimi di oggi, spesso poco sa di quanto è accaduto nel ‘92 – ‘93, ma di quegli eventi vive oggi le amare conseguenze causate dall’oblio e dall’insabbiamento della verità che da vent’anni ammorbano l’Italia. Nessuno dei giovani seduti in sala era ancora nato in quegli anni; oggi, che una situazione tremendamente simile a quella di allora minaccia la vita dei magistrati in prima linea e di coloro che li proteggono e quindi viola la nostra libertà e la nostra democrazia, eccoci a riparlarne nuovamente ed ancora ed ancora per contribuire a dare pace a chi ancora non ne ha.
L’evento è moderato dal giornalista di AntimafaDuemila Aaron Pettinari e prevede la presenza, oltre che di Saverio Masi, di Sabrina Matrangola e Matilde Montinaro, rispettivamente figlia e sorella di due persone che in anni diversi e contesti diversi hanno scelto di compiere il proprio dovere di cittadini ed esseri umani e per questo, però, sono state uccise dalla mafia, sì, ma anche dalla connivenza tra mafia e stato. Infine, due sedie vuote proprio in prima fila, su cui sono stati posti due mazzi di fiori e intorno ad essi nastri con i colori della nostra bandiera. E sulle sedie, su due grandi fogli bianchi, stampati i nomi delle vittime di mafia e la famosa immagine di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridenti fianco a fianco. Un‘iniziativa dei ragazzi. Due sedie vuote, qualcuno che manca, e purtroppo la mente facilmente ritorna a quelle sedie vuote che solo pochi giorni fa, il 18 gennaio, abbiamo visto a Torino: in quel caso erano le sedie di Roberto Scarpinato e Antonino Di Matteo che, in una conferenza straordinaria che ha visto la partecipazione tra presenti e persone in streaming  di quasi tremila persone, non hanno potuto presenziare costretti per motivi di sicurezza a collegarsi solo via skype: emblema avvilente dell’impotenza e della mancata volontà di un certo stato di opporsi fattivamente alle minacce mafiose.
Al termine dei saluti e dei ringraziamenti introduttivi del dirigente scolastico e l’intervento del sindaco della città di Otranto, un breve video intitolato “1992: ultimo anno dell’Italia così come l’avevamo conosciuta …” prodotto dai ragazzi della scuola ci introduce nel vivo e nella commozione proiettando le immagini terribili delle stragi di Capaci e via d’Amelio e i volti, uno ad uno, degli uomini e delle donne morti con loro. Gesto importante  e denso di significato soprattutto alla presenza di due famigliari di vittime di mafia e che in modo inatteso spazza via ogni cosa per accomunare i presenti in un unico dolore comune.
Aaron Pettinari (AntimafiaDuemila) apre con un’emozionante e sentita relazione, ricordando l’inizio del suo personale cammino d’impegno e di 1giornalismo antimafia. Di fronte alla terribili immagini appena proiettate, decide innanzitutto di ricordare i nomi delle vittime delle stragi del ’92 delle quali abbiamo appena visto i volti: oltre a Francesca Morvillo, compagna del giudice Falcone, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. “Un giorno questa terra sarà bellissima”  era una frase di Paolo Borsellino ed è l’impegno dei giovani, dice il giornalista, a dare speranza al futuro e rendere possibile la realizzazione di quel sogno. Passa poi a descrivere il quadro dei processi attualmente in corso in Italia, con particolare attenzione a quello sulla trattativa Stato-Mafia che definisce “il processo di Norimberga” per gli addetti ai lavori e un evento storico per il nostro paese dal dopoguerra ad oggi. Dopo vent’anni torniamo a parlare di stragi sotto la spinta delle minacce e delle intimidazioni giunte negli ultimi mesi in più occasioni: le ripetute “condanne a morte” del capo dei capi Salvatore Riina dal carcere di Opera rivolti principalmente a Di Matteo ma anche agli altri magistrati che con lui sono impegnati nel processo Trattativa (Teresi, Tartaglia e del Bene), le minacce e gli avvertimenti ai magistrati che si stanno occupando dell’arresto del latitante Matteo Messina Denaro (tra cui il procuratore aggiunto Teresa Principato), i magistrati di Trapani e quelli di Caltanissetta. Dopo vent’anni restano ancora sconosciuti i mandanti esterni delle stragi di Capaci e via d’Amelio, mentre sono noti solo gli esecutori materiali. Il giornalista continua poi con la doverosa e mai superflua precisazione che chi parla di trattativa presunta sbaglia: la trattativa è accertata da non pochi documenti, sentenze ed informative e cita la sentenza "Tagliavia" della Corte d’Assise di Firenze del 2012 da cui si evince che fu lo Stato a cercare il colloquio con la mafia e che tale colloquio ci fu e pose fine alle stragi e presumibilmente le basi del nuovo assetto politico post 1994. Non può mancare, infine, il riferimento alla scabrosa vicenda del bomb jammer, prima negato poi promesso pubblicamente dal Ministro Alfano poi nuovamente negato al pm Di Matteo. Si tratta di un dispositivo in grado di annullare le frequenze e quindi di bloccare eventuali ordigni attivabili con comando a distanza: l’allerta per il giudice Di Matteo si è alzata al livello 1, cioè al massimo grado di attenzione, e questo dispositivo costituirebbe elemento determinante per la salvaguardia della sua vita e degli uomini della sua scorta ed andrebbe a potenziare in maniera decisiva le misure canoniche prese finora. Eppure, questa pare non essere considerata questione prioritaria, almeno per ora.  
Il Maresciallo Saverio Masi, attualmente capo scorta di Antonino Di Matteo, fino a qualche anno era un validissimo esponente del reparto Investigativo dell’Arma dei Carabinieri e ciò emerge chiaramente dal suo lungo intervento, un’approfondita disamina di alcuni concetti ed eventi fondamentali per la comprensione di questo cruciale momento storico per la nostra democrazia e per le libertà civili nostre e dei nostri figli. Con estrema chiarezza, Masi afferma che il nostro stato è “sotto ricatto da forze eversive esterne ed interne, come già stabilito da sentenze passate in giudicato”: la mafia, la massoneria e i servizi segreti deviati su cui è steso il velo del silenzio assoluto. Accoglie poi l’analisi espressa in più occasioni da Roberto Scarpinato quando afferma che l’attuale crisi economica ha creato insofferenza tra le fila della mafia verso lo stato e verso quei vertici di Cosa Nostra accusati di pensare solo ai propri affari. Tale insofferenza potrebbe aver reso alcuni favorevoli al ritorno alla strategia stragista. Masi affronta poi il tema fondamentale dell’informazione connivente e dei mezzi di comunicazione che scelgono di fare silenzio intorno alle questioni più scottanti, e fa riferimento al “Piano di rinascita democratica” della P2 citandone alcuni punti relativi all’informazione, la cui attualità è quasi agghiacciante. Ringrazia i ragazzi per la loro presenza e li incita a porsi domande sui mandanti e sulla rete di connivenze che sono stati la vera causa delle stragi. Lancia poi un appello a squarciare il silenzio e l’isolamento che è seguito alle recenti minacce affinché non sia solo la magistratura nella persona di pochi uomini a farsi carico del peso di questa scomoda ricerca della verità, ma anche la società civile, manifestando sostegno e scegliendo di raccontare e testimoniare: è questo il primo e più forte deterrente a quanto sta succedendo in Italia e potrebbe succedere.  Perché, aggiunge, siamo stanchi di vivere in una democrazia incompiuta.
Il Maresciallo Saverio Masi, correttamente, non fa alcun riferimento alla sua delicata situazione personale e professionale e al suo ruolo di testimone al processo trattativa. E’ la referente delle Agende Rosse, Anita Rossetti, a parlarne, scegliendo di leggere la coraggiosa lettera aperta di Angela Manca al generale Leonardo Gallitelli, Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri. In essa, tra le altre cose, si legge, proprio in riferimento a Masi ”… Appare quantomeno strano che un investigatore con affermata esperienza e con alle spalle un lodevole servizio effettuato prima in Campania e poi a Palermo, sia stato estromesso dal Reparto Operativo …”.  Ed ancora “ .. il Maresciallo Masi viene mandato al reparto scorte per una vicenda penale decisamente irrisoria (un falso per l’annullamento di una sanzione stradale), oltre che controversa per il clima in cui è maturata”. Il riferimento è alla recente e controversa condanna per falso materiale al Maresciallo Masi accusato di aver richiesto l’annullamento di una multa da lui contratta durante il servizio in cui però utilizzava l’autovettura privata, com’è noto prassi non rara presso le forze dell’ordine, nonché a volte necessaria. “Certamente lui” continua Angeun giorno terra bellissima 200114la Manca ”in questo momento particolare, è prezioso per il Dott. Di Matteo, quale suo capo scorta, ma siamo certi che lo sarebbe ancor più se potesse collaborare con lui nelle indagini … al suo posto di battaglia nella ricerca dei latitanti e di Matteo Messina Denaro in particolare …”. Comprendiamo meglio i rischi e la delicata posizione del Maresciallo Masi attualmente esposto non solo come capo scorta di Di Matteo, ma anche come possibile bersaglio di una rappresaglia per le gravissime denunce da lui fatte e forse comprendiamo meglio le motivazioni del suo scendere pubblicamente in campo.
Infine, prima di chiudere conl’intervento di Salvatore Borsellino,  la parola va a Matilde Montinaro e Sabrina Matrangola che collaborano entrambe con Libera di Don Luigi Ciotti.
Matilde Montinaro è sorella di Antonio Montinaro, poliziotto originario di Calimera (Le), capo scorta di Giovanni Falcone morto con lui il 23 maggio 1992 a Capaci. “A me ha fatto un enorme piacere” esordisce Matilde Montinaro “avere qui il Maresciallo Masi perché finalmente sentiamo un uomo di scorta parlare, esporre le sue emozioni e anche la paura perché convivono quotidianamente con la paura. Purtroppo la scorta di Falcone per troppo tempo è stata quasi un’entità astratta, tanto che molti di noi quasi ci eravamo convinti che si chiamassero “scorta di Falcone” e per molto tempo quasi non siamo riusciti ad attribuire un nome ad ogni volto di quei ragazzi”. E ricorda lo sguardo della madre quando di fronte ai notiziari che puntualmente nominavano “Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta”, con ansia attendeva che venisse pronunciato quel nome, Antonio Montinaro, “perché sentire quel nome era sentirlo vivo”. Per tanti anni non è stato così, ma oggi finalmente cominciamo a riprenderci la proprietà di quei nomi, perché noi italiani siamo un popolo dalla memoria corta. Poi stupisce tutti, ricordando i nomi dei ragazzi sopravvissuti alla strage di Capaci: Paolo Capuzzo, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza. Anche loro non vengono ricordati perché forse la loro memoria è troppo scomoda per il nostro paese; eppure anche i sopravvissuti ad una strage di tale importanza storica ed atrocità sono depositari di un profondo dolore e andrebbero ascoltati. Racconta poi la storia sconosciuta ma preziosa del giovanissimo Antonio Montinaro, ragazzo pieno di vita ed irrequieto che dopo la seconda bocciatura al liceo viene ritirato dalla scuola dal padre per lavorare nell’attività di famiglia che allora era una pescheria. Ma era un lavoro troppo duro per lui così giovane, perciò decide di entrare in polizia; non perché credesse particolarmente in quel lavoro, ma coraggioso e un po’ sprovveduto vista la giovane età, appena 18 anni, come farebbe forse anche oggi un giovane alla ricerca di un posto di lavoro sicuro, al sud come al nord, desideroso di iniziare a vivere una vita indipendente ed emancipata. Non si arruola da eroe, quindi, ma dopo il trasferimento dalla sua sede di Bergamo, le cose cambiano. Inizia infatti il Maxiprocesso e viene aggregato a Palermo, evento che poi avrebbe definito “la sua più grande fortuna”. Antonio lavora, conosce il giudice Falcone ed altri colleghi, si appassiona, cambia, fa scelte da adulto, mette su famiglia, diventa uomo e prende coscienza dell’importanza di quanto avviene intorno a lui e della delicatezza del lavoro che svolge. Alla fine del Maxiprocesso, insofferente e non gratificato del  lavoro a Bergamo, decide di rimanere a Palermo. “Fu considerato un pazzo per quella scelta … ma aveva creato un’identità antimafia che lo faceva stare bene con se stesso … ”. Il 23 maggio 1992, all’età di 30 anni, termina la sua vita. Quel giorno non doveva essere in servizio, ma aveva scambiato il turno con un collega per poter andare a prendere il giudice Falcone e sua moglie. “La storia di Antonio non deve farvi pensare a lui come ad un eroe: non commettiamo l’errore di considerarli eroi altrimenti ci creiamo un alibi per non fare nulla … si tratta di persone che hanno vissuto la loro quotidianità nel rispetto delle regole,anzi nel rispetto della propria coscienza perché ognuno di noi ha una coscienza e sa quello che o non deve fare … ciò che fa più male però è sempre non avere la verità … se quando è successo il fatto nel ‘92 ho attribuito quella tragedia alla mafia a distanza di anni è stato per me difficilissimo capire ed accettare che forse non era stata solo mafia … che forse Antonio non era stato protetto da quello stato che doveva proteggerlo e per cui lavorava”.
Renata Fonte, originaria di Nardò (Le), assessore alle finanze, alla cultura e alla pubblica istruzione del comune di Nardò, ma anche pittrice, poetessa, insegnante: fu uccisa nel marzo del 1984 per essersi opposta alla speculazione edilizia di cui era oggetto l’area di Porto Selvaggio, oggi uno dei luoghi naturalistici più belli e conosciuti della Puglia. “Avevo la vostra età quando mi hanno strappato mia mamma”  dice la figlia Sabrina Matrangola rivolgendosi ai giovani presenti. “Fu una donna che aveva sognato di tornare nella sua terra e lo desiderava dedicandole poesie, racconti, dipinti … all’inizio degli anni ’80 riesce a tornare per realizzare finalmente  il sogno di poter far qualcosa per la sua terra”. Renata Fonte è stata uccisa all’età di 33 anni: “la verità processuale, i numerosi libri scritti su di lei, i film hanno sottolineato che la sua opposizione alle lottizzazioni di Porto Selvaggio è la ragione per cui la mafia ha visto in lei l’incarnazione del nemico contro i suoi interessi”. Poi ricorda in modo toccante e profondo la solitudine della perdita :“per lunghi anni siamo state lasciate sole; per anni si voleva quasi rimuovere la memoria di nostra madre probabilmente perché rimanevano ancora in attività personaggi che avevano detto sì a qualcosa a cui lei aveva detto no … abbiamo coltivato nel nostro privato il dolore che però ad un certo punto doveva erompere per diventare memoria storica, doveva farsi vita, doveva essere il coraggio e il dovere della testimonianza … sicuramente né Renata né Antonio volevano essere degli eroi  … forse desideravano solo veder compiersi la propria vita … ma si sono trovati in un gioco grande e non si sono tirati indietro, non si sono voltati dall’altra parte, non hanno scelto la via più facile, non sono scesi a compromessi, hanno creduto davvero nei loro ideali fino al sacrificio della vita … noi vogliamo fare loro un dono e ricambiare quanto ci hanno lasciato: è il dovere della testimonianza”.

pubblico

La presenza e la testimonianza toccante di Matilde Montinaro e Sabrina Matrangola arricchiscono quest’incontro della profondità e del coraggio di un lungo percorso personale di grande sofferenza che ad un certo punto è riuscito nell’impossibile: trasformare la rabbia, il rifiuto e il disgusto in azione e testimonianza, superando anche il dolore del raccontare che fa rivivere ogni volta la stessa sofferenza.
Infine chiude l’incontro Salvatore Borsellino collegato via skype. Con la sua usuale ed inestinguibile energia e chiarezza ribadisce l’estrema gravità della situazione presente e riferisce della scorta civica che proprio domenica i ha avuto inizio a Palermo: i cittadini che si affiancano e si sostituiscono alle istituzioni per proteggere i propri rappresentanti. L’incontro termina con lui, simbolo della serietà della lotta, della forza di volontà e del coraggio e con un appello a tutti i ragazzi e a tutti i presenti affinché quest’incontro diventi un’occasione, un’opportunità, un inizio verso la scelta di comprendere, informarsi, diffondere, partecipare, crescere da cittadini e uomini. Rendiamo nostro e comune il dolore privato delle vittime e dei famigliari perché la causa di questo dolore è comune ed è nostra, appartiene alla società intera. Conosciamo le storie che ci appartengono, interessiamoci ad esse, avviciniamoci alla politica e al voto consapevole e libero e all’informazione con nuovo spirito critico e con coraggio: non possiamo esimerci dal farlo perché è lì che si gioca la partita della scelta e del potere. Riprendendo le parole di Matilde Montinaro “Non pieghiamoci all’indifferenza, non vergognamoci mai di indignarci … perché uno stato democratico non è tale se non abbiamo verità e giustizia … riprendiamoci la nostra vita ”. 

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