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dellutri-marcello-big4Depositate le motivazioni della condanna in appello dell'ex senatore Pdl
di AMDuemila - 5 settembre 2013
Sono state depositate ieri dai giudici le motivazioni della sentenza d'appello che ha condannato a 7 anni di reclusione l'ex senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. “La condotta illecita del senatore Marcello Dell'Utri - secondo quanto scritto nel documento - è andata avanti nell'arco di un ventennio” con una serie di comportamenti “tutt’altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale”.

Inoltre “Nel periodo di tempo in oggetto (1974-1992) ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l'associazione, al fine di mediare tra le esigenze dell'imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”. Sono questi due dei passaggi della motivazione scritta dai giudici della terza sezione della corte d’appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti (giudici a latere Daniela Troja e Mario Conte).
I giudici di appello, che ritengono provato il concorso esterno di Marcello Dell’Utri a Cosa nostra fino al 1992, aggiungono di aver sottoposto i fatti relativi agli anni più recenti “a nuova valutazione”, e di essere giunti alla conclusione che “è incontestabilmente emersa la permanenza del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa per tutto il periodo in esame e anche nel periodo in cui Dell’Utri era andato a lavorare da Rapisarda (l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda, ndr) lasciando l’area imprenditoriale di Berlusconi e anche per il tempo successivo al 1992”.
Di fatto la corte conferma il ruolo di Dell’Utri come “mediatore” del “patto” tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra, di cui fu un fatto chiave la presenza ad Arcore di Vittorio Mangano, stalliere “protettore” della famiglia Berlusconi. “A seguito della sentenza della cassazione – scrivono - era stato definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (questi ultimi tre boss mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in cambio protezione”.
Pagamenti che secondo i giudici iniziarono subito dopo l'incontro del 1974, con la richiesta di 100 milioni di lire formulata da Cinà, ed esaudita.
E su Mangano sottolineano come “non era stato assunto per la sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore”.
I giudici ricordano anche che Dell'Utri ha ammesso di aver indicato Mangano a Berlusconi come persona da assumere ma lo stesso ha sostenuto di non essergli amico, anzi di averne paura. Un fatto che per i giudici non è credibile in quanto “il rapporto tra i due non si è mai interrotto almeno fino al 1992 e ha subito delle forzate interruzioni solo per i periodi di detenzione di Mangano, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova. La continuità della frequentazione, l’avere pranzato in diverse occasioni con lui sono circostanze che hanno consentito di escludere che i rapporti possano essere stati determinati da paura. Del resto, Dell’Utri non ha mai dimostrato di temere i contatti con i boss mafiosi e di concludere accordi con loro”. Quindi, scrivono i giudici, “La personalità dell’imputato appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli aveva dato una possibilità di farlo”.
L'ex premier Berlusconi “abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso ma sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi ma all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”.
Nelle motivazioni della sentenza la Corte d’appello di Palermo ha espresso un “giudizio di inattendibilità intrinseca del collaborante Gaetano Grado”, il quale aveva accusato Dell’Utri di aver fatto da tramite nel riciclaggio di denaro proveniente da un traffico di droga dalle cosche nell’attività di realizzazione di Milano 2. Per i giudici tali fatti “non possono considerarsi idonei a superare neppure la soglia di mero indizio”.
Dell'Utri è stato condannato in primo grado a 9 anni di carcere e 7 in secondo grado. La Cassazione annullò con rinvio il verdetto, così si tenne il nuovo processo d'appello che lo scorso 24 marzo lo ha condannato a 7 anni di reclusione.

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