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messina-denaro-trapanidi Aaron Pettinari - 30 agosto 2013
Da Riina a Messina Denaro. Non è la storia di un “passaggio di testimone” al vertice di Cosa nostra che, dopo gli arresti del “Capo dei capi” Totò Riina, dell'altro padrino corleonese Provenzano e del palermitano Salvatore Lo Piccolo (forse l'unico che avrebbe potuto davvero contendere lo scettro di leader), ha portato la primula rossa Matteo Messina Denaro sul punto più alto.

Stavolta a finire sotto i riflettori sono le storie dei figli dei boss. Nei giorni scorsi era toccato a Lucia Riina, intervistata in esclusiva dalla televisione svizzera RTS. Quattro minuti in cui la figlia di “Totò u curtu” si è detta “onorata e felice” di portare il nome del padre seppur “dispiaciuta per le vittime della mafia”. Poi ha raccontato particolari della vita con i propri genitori individuando nel giorno dell'arresto del padre come il giorno più brutto della sua vita.
Oggi sul settimanale “L'Espresso” è stata la volta della figlia di Matteo Messina Denaro, ancora minorenne. Una ragazzina di appena diciassette anni che come tanti suoi coetanei usa i social network, scrive, si innamora e si fa domande. La notizia riportata dal settimanale è “scenica” con la giovane che si sarebbe ribellata al clan familiare del padre, convincendo la madre a lasciare la casa dove è sempre stata.
“Quanto vorrei l'affetto di una persona e purtroppo questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino...”, dice la figlia di Matteo Messina Denaro. Tuttavia la ragazza non fa mai esplicito riferimento al padre, che secondo gli investigatori non avrebbe mai visto, ma nel giorno del compleanno del boss la figlia pubblica sul suo profilo Facebook un cuore rosso senza alcun commento.
E poi ancora considerazioni, anche rispetto alla famiglia, ed ai nonni nel giorno della loro festa. “Oggi è la festa dei nonni... auguri a tutti... purtorppo ne sono presenti solo tre ma so che l'altro mio nonno da lassù mi guarda e mi protegge sempre! Vi voglio bene”. E quello che non c'è più altri non è che Francesco Messina Denaro, boss trapanese deceduto durante la latitanza per cause naturali, alleato preziosissimo di Riina. Insomma un elemento che non fa pensare troppo ad un scostamento netto rispetto alla famiglia mafiosa. A detta del settimanale in città girerebbe anche la voce che l'uscita di madre e figlia dalla casa storica che le ha ospitate per vent'anni sia stata autorizzata dallo stesso boss di Castelvetrano. A prescindere da ciò quel che resta altro non è che la spettacolarizzazione dei gesti o delle considerazioni espresse dai figli dei boss. Non è la prima volta che accadono fatti simili. In passato erano intervenuti pubblicamente i figli di Provenzano e l'altra figlia di Riina, Maria Concetta, con dichiarazioni decisamente più “forti” da un punto di vista mediatico con considerazioni anche sul “41 bis”.
E il dare voce ai figli dei boss può essere pericoloso specie se questi non dimostrano un forte distaccamento da quel che hanno fatto i propri padri, magari denunciando i loro crimini o contribuendo con forza affinché venga fatta luce sui tanti omicidi e stragi da loro compiute o commissionate.
Se non agiscono in questo senso diventa comprensibile la rabbia dei figli delle vittime di mafia come Sonia Alfano che nei giorni scorsi aveva detto: “Mi aspetterei maggiore prudenza e dignità da parte dei media. I familiari delle vittime, loro sì giustamente orgogliosi dei nomi che portano, vengono spesso ignorati. Pensavo che il peggio fosse l’ormai proverbiale discriminazione tra vittime di “serie A” e di “serie B”. Mi sbagliavo, evidentemente. Si riesce a dare maggiore spazio e visibilità ai figli dei mafiosi che ai figli degli eroi civili che i mafiosi li hanno combattuti con coraggio e sprezzo del pericolo, rimettendoci la vita. Se anche il mondo dell’informazione adula i mafiosi e i loro orgogliosi figli, mentre se ne infischia di quanti hanno sacrificato tutto per ridare speranza e dignità ad una terra, allora non esiste memoria. E se non esiste memoria, non esistono speranza né dignità”. E lo stesso ha fatto Giovanna Maggiani Chelli oggi: “A poche ore dalle esternazioni della Lucia Riina ecco il cambio repentino di tecnica di comunicazione: la figlia di Matteo Messina Denaro prende le distanze dal padre, reo di strage terroristica eversiva e ancora latitante dopo 20 anni. Non c’è pace tra i cipressi dei cimiteri dove cercano di riposare i nostri morti, questo perché qualcosa sembra agitare “cosa nostra”, ma soprattutto sembra agitare tutti quei politici che con l’organizzazione criminale “cosa nostra”si sono collusi a fare affari. Le quindicenni da sempre si ribellano ai padri, si ribellano ai padri che vanno per loro a lavorare ogni mattina, figuriamoci le figlie dei mafiosi assassini ,quindi come si dice una rondine non fa primavera. Aspettiamo che la figlia di Matteo Messina Denaro cresca e quando avrà bisogno di metter le mani sui conti correnti del padre, tenuti intatti per lei nelle banche che ospitato i capitali dell’uccel di bosco capo mafia, vedremo che farà. Per ora quello che conterebbe per tutti noi è la mancanza di rumore intorno a questi rampolli figli di capi mafia, ma pare non ci sia dato di sentirlo calare questo invocato silenzio stampa sui mafiosi. Il dovere del silenzio per rispetto ai nostri morti, pare che qualcuno in questo Paese a livello politico lo voglia infranto . E ciò affinché le “famiglie mafiose” siano presentate al popolo come normali famiglie molto cattoliche, dedite alla preghiera e alle prese di distanza dai padri cattivi, cercando così con larghi consensi di tirare fuori dalla galera e dal 41 bis tutti i capi di “cosa nostra”. E’ fin troppo chiaro, la mafia sta presentando i suoi conti a chi promise di aiutarla in cambio di 277 chili di tritolo in via dei Georgofili a Firenze e chi meglio delle facce che paiono pulite dei figli giovani dei mafiosi può servire all’uopo? Non ci si scordi però che il 1 Aprile del 1993 nella villetta di santa Flavia i “capi provincia” che rappresentavano tutte le “famiglie mafiose” della Sicilia, si radunarono per deliberare l’operatività delle stragi in Continente e mezza Italia lo sapeva, compresi i figli dei capi mafia. Perché come è scritto sulle carte del processo di Firenze 'lo sapevano anche i sassi'”.

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